Ha fatto scalpore l'intervista a Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco, raccolta da Roberto Fiori e pubblicata oggi sulla Stampa. “Vedere il Barolo in vendita a 9 euro è senza dubbio un danno d'immagine per tutta la denominazione, ma in questo momento è un male necessario, nonché una scelta consapevole fatta dai produttori” questa la tesi di Ascheri riguardo alla presenza sugli scaffali della GDO di Barolo a 9 euro (anzi, 8,99 euro) e di Barbaresco a 8.
Un male necessario? Sicuramente, come per tutti i vini “pregiati”, anche per il Barolo il prezzo non è dato dal puro costo di produzione, ma da dinamiche di domanda e offerta. E in un anno di vacche magre causa Covid, occorre in qualche modo adattarsi, benché la capitalizzazione del prodotto che richiede il disciplinare rappresenti un costo evidente.
Tra le strade percorribili, vi è anche un limite alla produzione, agendo sulle rese in vigna, oppure creando strumenti come la riserva vendemmiale (due opzioni tuttavia bocciate dai produttori di Barolo e Barbaresco associati al Consorzio, che hanno destato non poche perplessità).
Abbiamo così interpellato alcuni produttori, ricevendo anche dinieghi ad esprimersi secondo un copione piemontese-langarolo che dice e non dice, rimesta e attende secondo la miglior logica dei bugia nen ("Ma neanche quelli - dice Paolo Massobrio - perchè in realtà i bugia nen mantenevano le posizioni non arretravano di certo").
Giovanni Minetti (Tenuta Carretta): “Nulla di nuovo sotto il sole”
“Facciamo chiarezza – esordisce Giovanni Minetti di Tenuta Carretta, e già presidente del Consorzio –. Il Consorzio non ha nessuna influenza sui prezzi e sul mercato, se non determinando anno per anno lo sviluppo potenziale della denominazione e l'eventuale riduzione delle rese in vendemmie. Ma per vini come il Barolo la riduzione delle rese ha ovviamente effetti nel tempo, non sull'annata in commercio. Sono provvedimenti che in qualità di presidente non ho mai voluto prendere, perché è il mercato che deve trovare un equilibrio. Dirò di più: il Barolo a 9, 10 o 11 euro c'è sempre stato e dunque non capisco questa polemica. È soltanto una falsa notizia per andare contro a una denominazione che si fa più rumore ad attaccare che a difendere”.
Giovanni MinettiQual è lo stato dei magazzini delle cantine attorno ad Alba, dunque? “
Sicuramente c'è una giacenza superiore al passato – continua Minetti -
perché le aziende che lavorano con l'Horeca o l'enoturista hanno avvertito la mancanza del consumatore e delle occasioni per aprire bottiglie importanti. Il problema è di liquidità, e ben vengano azioni come il fondo di rotazione (la possibilità di utilizzare le giacenze in cantine come pegno alla banca per avere finanziamenti, ndr). Ma appena torneremo alla normalità, recupereremo e proseguiremo lo sviluppo di questa denominazione che è sempre stata un traino per tutto il vino italiano”.
Nell'articolo di Roberto Fiori tuttavia emerge anche l'ampio ricorso alla vendita del
Barolo “sfuso”. Su 350 cantine associate, il 90% vende sfusa una parte più o meno piccola del suo Barolo ad aziende imbottigliatrici che operano in zona o lontano. Il prezzo? Se ad inizio 2020 un litro di Barolo si vendeva a 6,5 euro e oltre, a settembre il prezzo è sceso sotto la soglia critica dei 5 euro.
“
È il rovescio della medaglia – conclude Minetti –
. Aziende importanti che hanno un mercato da 50.000 bottiglie ma vigne che producono di più, non volendo fare Barolo di secondo prezzo, non possono che vendere l'uva o il vino sfuso. Non è un problema, fa parte del mercato, e non c'è modo di limitarlo”.
Giuseppe Vajra (G.D. Vajra): “Né male necessario, né riduzione delle rese. Imbocchiamo una terza strada”
Giuseppe Vajra, nuova leva della storica cantina di Barolo, ha le idee chiare e invita a non alimentare polemiche. “Di fronte alle difficoltà occorre lavorare in silenzio. Le polemiche sono spesso pretestuose, ma anche le excusatio sono inutili. Detto questo, ricordiamoci che il Barolo, prima di essere un prodotto del mercato, è un prodotto della natura e della storia. In questo senso una riduzione artificiale delle rese sarebbe contro natura e nuocerebbe all'identità del vino”.
La famiglia Vajra (Giuseppe è il primo da sinistra)Tra la riduzione delle rese e il male necessario di un mercato svilito può esserci una terza strada. “
Noi sogniamo un dialogo tra tutti i produttori che possa condurre a una visione più lungimirante. Sommessamente vorremmo ricordare il valore della pazienza. La stessa pazienza per cui lavoriamo per anni prima di vendemmiare, affiniamo per anni prima di mettere il vino in bottiglia, per anni aspettiamo prima di berlo. Dovremmo imparare dal nostro stesso lavoro: avere pazienza significa anche non cambiare strada ad ogni difficoltà di mercato. Il Consorzio dovrebbe avere l'ambizione di far coesistere le realtà agricole con quelle industriali, lavorando per appassionare sempre più persone al Barolo, e così costruire un giusto equilibrio di mercato”.
Mario Fontana (Cascina Fontana): “Ridurre le rese penalizzerebbe i piccoli”
Cascina Fontana è una piccola realtà: 30.000 le bottiglie prodotte, di cui la metà di Barolo, apprezzato moltissimo all’estero, ma che ha sfondato nel settore Horeca in Italia. “Il problema nasce a monte, ossia quando è stato permesso di piantare nebbiolo dove non era mai esistito prima – racconta Mario Fontana -. Indietro però non si torna. E oggi pensare a una riduzione delle rese significherebbe penalizzare i piccoli produttori che hanno le vigne nei posti giusti e lavorano secondo schemi logici e di qualità. Piuttosto, si potrebbe pensare di ridurre le rese soltanto a chi lavora per vendere vino sfuso”.
Mario Fontana (© foto: Triple A)Per una cantina di “piccola taglia” come Cascina Fontana, il problema delle giacenze è limitato. “
Abbiamo una clientela fidata e rapporti di lunga durata. Le nostre assegnazioni sono minime, dunque nel 2020 i nosti vini sono stati acquistati come sempre. Il timore, piuttosto, è per il 2021: i clienti avranno ancora energia e liquidità per investire sui grandi vini? Per il canale Horeca prevedo un anno ricco di incognite, più dello scorso anno”.
La chiacchierata finisce qui, anche perché volevamo aprire subito un dibattito con
Paolo Massobrio (potete scrivergli a
paolo.massobrio@comunicazioni.it) che è piuttosto scettico di fronte a una situazione che sta venendo alla luce del sole e non è più solo la bottiglia che si trovava in autogrill a quel prezzo.
Già 10 anni fa, di fronte a una paventata crisi del Barolo, Paolo Massobrio intervenne duramente (
leggi qui l'articolo), in piena estate, rispetto a una dichiarazione dell’economista
Chicco Testa che esultava per la caduta del prezzo del Barolo. Barolo per tutti? Forse non è proprio così. Ci riaggiorniamo dunque a breve con un secondo articolo, questa volta firmato dal nostro direttore.