L’analisi delle etimologie è il discorso della verità. Lo conferma il vocabolo stesso: etimo era un sostantivo usato dai filosofi e dai grammatici greci e latini per indicare il significato reale, vero di una parola. Logia era ed è un suffisso che si lega a più termini per dare vita a un discorso, un’espressione, uno studio, una trattazione.
Le etimologie spiegano, colorano, illuminano, permettono di guardare il mondo con uno sguardo nuovo, più attento. Creano delle ragnatele di significati che si intersecano tra loro, si rincorrono e bastano a se stessi: scoprire un’etimologia implica comprendere la natura del soggetto preso in considerazione.
Questa scienza viene spesso dimenticata, ma il suo fascino non cessa di esistere; essa si può applicare a ogni ambito della vita - svelando misteri e scoprendo tesori - compreso quello alimentare: la necessità e l’arte del nutrirsi, il bisogno di cucinare, la voglia di degustare.
Già uno dei termini alla base del cibo e della loro preparazione nasconde un paradosso, da capire e fare proprio: la parola gastronomia. È composta da gaster e nomia: gaster indica il ventre, la pancia, mentre nomia è il suffisso della legge, dell’amministrazione, del governo. La gastronomia è la legge del ventre, il governo della pancia.
La contraddizione insita in questo sostantivo è concettuale: il ventre è la sede dell’istinto, della sregolatezza, e si unisce a una disciplina rigida, a regole definite. L’arte della cucina è un precario equilibrio tra la natura quasi animalesca che ci portiamo dentro dalla notte dei tempi e l’idea di governo, protagonista della filosofia politica, che vantiamo come nostra invenzione da secoli a oggi.