Qualcuno rimprovera ai Piemontesi di essere “chiusi”, di guardare lo sconosciuto con diffidenza sempre e comunque. Be', se penso alla cena del 21 settembre “Stelle sotto le stelle” ad Alessandria, nelle sale austere di Palazzo Monferrato, questo stereotipo non viene solo messo in discussione, ma addirittura ribaltato.
Che i Giapponesi siano fra i migliori interpreti della nostra cucina è abbastanza risaputo fra chi si interessa di queste cose ma che, per questa cena di gala con quattro cuochi giapponesi, ancorché stellati, si esaurissero in soli due giorni i 100 posti disponibili con altrettanti in lista d’attesa, mi ha veramente sorpreso.
Probabilmente è anche merito di Jumpei Kuroda, chef del ristorante I Due Buoi di Alessandria, che con la sua precisione, la costante ricerca e il rispetto degli ingredienti ha ben abituato i buongustai di città e, con la sua umiltà e simpatia, ha potuto invitare tre colleghi di altissimo livello. Comunque, questo è anche indice di un’evoluzione del gusto e del savoir vivre di questa città di provincia che si è aperta al mondo, spero senza abbandonare i rabaton.
Felice la scelta, visto il numero dei partecipanti, di limitare la cena a soli quattro piatti permettendo ai cuochi di concentrarsi e di presentare al meglio il loro stile anche fuori casa. Dopo l’entrée stuzzicante del padrone di casa accompagnata dal Blanc de Blancs metodo classico della Cantina Cuvage, abbiamo gustato carpaccio di merluzzo e insalata di rinforzo estiva realizzata dall’unica presenza femminile della serata: Fumiko Sakai. Con esperienze piemontesi alla grande Antica Corona Reale di Cervere, poi sous-chef di Gennaro Esposito all’Osteria del Saracino, propone ora nel suo ristorante Bikini a Vico Equense la cucina napoletana reinterpretata. Il piatto presentato giocava tra la sapidità del merluzzo crudo e una freschezza floreale. Piacevolissimo con l’abbinamento del Pinot Grigio del Friuli Colli Orientali 2017 di Torre Rosazza.
Il primo, cavatelli neri, gamberi di Mazara e ricci di mare di Yukihiko Matsuguma è stato un trionfo di sicilianità. D’altra parte, all’inizio della cena, aveva confessato che, pur avendo opportunità ed offerte, non riesce a staccarsi da Palermo dove lavora a Bye Bye Blues di Mondello. Grande successo anche per il bis servito simpaticamente dal pentolone dallo stesso chef aiutato da Yoji Tokuyoshi. Interessante la proposta in abbinamento del Tre Uve Doc 2013 dell’azienda Malvirà.
Poi è arrivata la star: Yoji Tokuyoshi, dell’omonimo ristorante di Milano, per nove anni sous chef di Massimo Bottura all’Osteria Francescana, stella Michelin quasi ancor prima di aprire il ristorante: brasato al Barbaresco e anguilla Kabayaki. Il piatto era quello più a rischio, il più atteso e quasi speravo di poterlo criticare. L’anguilla alla giapponese è, per me, un monumento della cucina che non mi perdo mai quando vado a Tokyo; vederla accostata al brasato sul menu aveva lasciato perplessi molti fra i partecipanti. Tokuyoshi ha usato per il brasato la guancia di vitello ottenendo la stessa consistenza morbida dell’anguilla; per caramellare il pesce, invece della classica salsa agrodolce, aceto balsamico di Modena per bilanciare il Barbaresco. Da applauso. Yoji, che definisce la sua cucina “contaminata”, non poteva darne un esempio migliore e, per di più, giocando con un grande classico piemontese. Su questo piatto ci è stato proposto il Montepulciano d’Abruzzo “Note” 2010 della Tenuta Masciangelo, con il suo vigore profondo e legnoso: perfettamente intonato.
Ora, lasciando da parte per un attimo le lodi alla serata ed ai suoi valenti protagonisti, vorrei fare una considerazione sulla cucina italiana dei Giapponesi. Dico sempre, come provocazione ma non più di tanto, che Tokyo è la città dove si mangia meglio la nostra cucina, Italia compresa. Questi cuochi che sono venuti ad imparare nel nostro Paese, lo amano veramente, con ingenuità e senza fraintendimenti. Lavorano dai grandi chef di cucina creativa poi, il più delle volte, quando tornano, aprono un ristorante di cucina regionale. Lavorano da Alajmo o Bottura ma sognano la cucina della mamma o della nonna.
A Tokyo sono rappresentate tutte le cucine regionali italiane con giovani cuochi giapponesi e tutte ad altissimo livello. Quelli che sono rimasti ed hanno aperto il loro ristorante sono i più coraggiosi. Non possono mettersi a rivaleggiare con i nostri osti (per fortuna dei nostri osti) e, smentendo il luogo comune dei Giapponesi perfetti esecutori, devono creare. E lo fanno molto bene.
Paolo Massobrio, che ha partecipato alla serata, ha detto, come già altre volte, che l’unione della cucina italiana a quella del Sol Levante porterà alla più grande cucina del mondo, e anch’io ne sono convinto. Per motivi di orario e distanza me ne sono dovuto andare prima che fosse servito il dessert. Jumpei Kuroda, che ne era l’autore, me l’ha fatto preparare al volo e l’ho mangiato in piedi in cucina. Cagliata di latte con oliva Taggiasca disidratata, meringa leggera, crema all’olio extravergine con crumble salato alla liquirizia. Me ne sono fuggito nella calda sera di fine estate come un Cenerentolo felice.
P.s Aggiungo allora io un commento al dolce che mi ha colpito per la leggerezza, l’ottima esecuzione, ma soprattutto per la coerenza con la cena e con il piatto che lo precedeva. Jumpei è stato molto umile perché anziché fare un dolce senza pensare all’economia della cena, che magari risultava più stupefacente, ha fatto un dolce che facesse andar via la gente contenta, leggera. Questo è un dato da imparare dai cuochi giapponesi. Bravi! Paolo Massobrio