Angela, donna affascinante, piacente, la conosciamo da almeno 20 anni. Siamo stati a trovarla nella sua Ascoli (una delle città più belle d’Italia), nella sua cantina, a visitare i vigneti. Ma ogni anno poi una sorpresa, un’intuizione nuova, uno sviluppo, persino con le bollicine. Due Vinitaly fa il direttore della Stampa mi chiese di mettere a confronto un produttore di vino biologico con uno convenzionale. E se per il biologico non feci fatica a trovarne uno (anzi una, anche qui una donna, che era poi Arianna Occhipinti), per il convenzionale ebbi il no da tanti produttori (maschi). Telefonai ad Angela e mi rilasciò una bellissima intervista, che sfatò tanti luoghi comuni. Ecco cosa vuol dire essere donna del vino, cosa vuol dire metterci la faccia.
Angela, se tornassi indietro rifaresti questo mestiere?
Sì! Assolutamente. Io ho iniziato nel 1984, forse nel periodo più difficile. Oggi una donna si sente più protetta, ma a quei tempi ce n’erano pochissime che giravano per il mondo a promuovere il vino. Certo per fare questo mestiere ho sacrificato altro.
Rimpianti?
Sì tanti. Non è vero che una brava imprenditrice è poi anche brava sul resto. In 32 anni spesso in giro per il mondo, ti trovi a non poter accudire tua figlia con la febbre. Oppure andare alla partita di pallavolo di tuo figlio che debutta in serie C. Insomma ho scelto di fare l’imprenditrice a tempo pieno, ma a guardare il frutto anche dei figli, forse il tempo che gli ho dedicato anche se poco, è stato di qualità. Come il vino, no?
Ti sei inventata un mestiere? Non avevi maestre da cui imparare?
Questo sì, non c’erano maestre. Però c’erano diversi maestri anche fra i marchigiani, che ho guardato con attenzione. Ma è più facile vendere vino se sei una donna? È più facile d’accordo. Ma vale per entrambi. Il problema è se hai o no nel Dna la predisposizione a vendere, alle relazioni. Certo il bell’aspetto, la simpatia aiutano, ma se non ti piace la vendita, serve a poco.
Si vende più volentieri all’estero o in Italia?
All’estero. In Italia c’è campanilismo e quindi ci sono mercati escludenti. All’estero il mito del vino di qualità italiano va forte ed è a prescindere da una zona.
Quando ci incontrammo tanti lustri fa a casa tua, eri scettica sull’uso dei vitigni pecorino e passerina. Poi che è successo?
La paura nasceva dal fatto che dovevi vendere e non sapevi bene se quella sarebbe stata la strada giusta. Ma poi ho rivisto la mia posizione perché alla fine il mercato vuole i nostri vini autoctoni.
Grazie Angela, anche questa volta la chiacchierata è stata improntata alla schiettezza e alla sincerità. C’è molto da imparare dalle donne.
Cosa sarebbe il vino italiano senza le donne?