La casalinga è una “razza” in via di estinzione. Così, almeno, sembra confermare l’Istat, che analizzando le nuove abitudini degli italiani ha tracciato il profilo della “massaia 2.0”.
Secondo i dati raccolti dall’Istituto di statistica e ripresi stamane da La Stampa e Il Giornale, nel 2016 si sono dichiarate casalinghe 7 milioni 338 mila donne, ovvero 518 mila in meno rispetto a 10 anni fa. La colpa? E’ da attribuire alla cosiddetta “cinghia economy”, ovvero l’economia che ha costretto a "tirare la cinghia" portando migliaia di donne a rinunciare al loro lavoro domestico per dedicarsi a quello d’ufficio.
Ma non è tutto; in base a quanto emerso, le nuove (poche) casalinghe vivono prevalentemente al Centro-Sud (63,8%), il 74,5% di loro ha solo la licenza media inferiore, una su dieci vive in povertà e ogni anno accumulano 71 miliardi di ore non pagate (circa 49 a settimana).
Sul Giornale è interessante il commento di Camillo Langone, che ripercorre l’origine del termine “casalinga di Voghera”, coniato dallo scrittore Alberto Arbasino, ed elogia il ruolo della casalinga parlandone come di una specie da salvare. “Insieme a questa categoria si estinguono molte cose buone - scrive - Le famiglie numerose, il matrimonio indissolubile e il posto fisso. (…) Ma con le casalinghe scompariranno anche interi ricettari e dir loro addio è come dire addio ai sapori delle nostre nonne: suona inevitabile, ma chi se ne compiace è un mostro”.