Il ristorante Kido-ism è una delle novità che più ci hanno appassionato quest'anno. Si trova in corso Rosselli, 54 a Torino e come leggerete sulla recensione, “lo abbiamo provato tre volte con tre ispettori diversi e sono stati tutti concordi nel vergare la corona”. È un esempio davvero ben riuscito di cucina fusion, quella difficile arte, che combina elementi di diverse tradizioni culinarie, per produrre piatti nuovi che non appartengono a nessuna tradizione gastronomica in particolare. Il motore di tanto successo è il suo ideatore Takashi Kido, non un semplice viaggiatore appassionato che si è improvvisato come chef di cucina fusion, ma un professionista rigoroso che ha voluto approfondire sul campo i fondamenti di tre grandi e diverse cucine dal Giappone a Torino, passando per la Spagna. Affascinati da questo percorso gli abbiamo chiesto di raccontarcelo e fin dagli esordi della sua storia si intravvede il destino di viaggiatore di Takashi, nato nel 1975 a Shimonoseki in Giapppone.
Ho iniziato ad amare questo lavoro fin da bambino aiutando mia mamma, che in casa si divertiva a prepararci i piatti della cucina internazionale, soprattutto italiana e francese che sono molto popolari anche da noi. Uno dei suoi piatti forti erano proprio gli spaghetti al sugo di pomodoro. Più tardi ho iniziato a lavorare nei ristoranti a Kyoto e dopo nove anni di cucina tradizionale giapponese avevo voglia di conoscere qualcosa di diverso. In quel periodo nella mia città hanno aperto un ristorante spagnolo. Ho iniziato a frequentarlo; la cucina spagnola era una novità anche per me, mi ha subito affascinato tantissimo. Ho iniziato a studiarla e praticarla e nel 2000 sono partito per la Spagna, dove ho avuto la fortuna di lavorare a Madrid al ristorante El Chaflan di Juan Pablo Felipe.
Un bel salto culturale, dalle cucine del Giappone trovarsi a lavorare nelle cucine europee...
Sì, infatti quello che mi ha affascinato era proprio il fatto che si potesse cucinare in modi così diversi e ottenere sempre piatti buonissimi... Ad esempio la cucina giapponese ha le sue regole per preparare il riso: i chicchi devono essere sempre lavati in acqua fredda e poi cotti a vapore senza mai togliere il coperchio alla pentola di cottura. Quando ho assaggiato la Paella spagnola mi è subito piaciuta molto, ma quando l'ho vista preparare cuocendo il risotto nella pentola scoperchiata sono rimasto davvero stupito: per un cuoco giapponese sarebbe proibito cuocere il riso così. Viaggiando si scoprono queste cose: quello che è vietato nella cucina di un Paese è abituale in un altro Paese...
Che ci dici del tuo rapporto con la cucina italiana?
Sono venuto in Italia, perché mia moglie, che ho conosciuto in Spagna, è italiana. Mi ha subito appassionato conoscere i vostri buoni prodotti. Trovo in generale che la cucina italiana, rispetto a quella orientale ricca di spezie, mette maggiormente al centro il sapore dell'ingrediente principale. Della cucina piemontese, ad esempio, mi piacerebbe perfezionare ricette come il bollito misto e la bagna cauda, così come in Spagna mi aveva affascinato il maialino da latte cotto intero.
Infatti una carta vincente dei tuoi piatti è proprio la sicurezza e naturalezza con cui riesci a fondere insieme ingredienti di culture così diverse. Facciamo qualche esempio, sui piatti che proponi ora al Kido-ism.
Sì è proprio la conoscenza di tanti ingredienti e ricette che mi aiuta. Ci sono associazioni di sapori che ho sperimentato nelle ricette del mio Paese e riesco a riprodurre e rinnovare qui, usando ingredienti locali dal sapore analogo. Un esempio semplice è il mio Granchio reale con essenza di Gazpacho, che nasce da una preparazione del granchio reale che facevo già in Giappone con una salsa acida che il Gazpacho spagnolo mi ha ricordato: l'associazione è stata immediata. Più complessa invece la genesi degli agnolotti del plin. Con questo piatto ho voluto fare un tributo alle vostre paste fresche ripiene; le studio da un anno e mi piacciono moltissimo. La pasta fresca è preparata secondo la vostra tecnica, il ripieno però è il guanciale di maiale iberico, che ho potuto conoscere bene in Spagna, e a cui ho abbinato la radice di loto, che in Giappone accompagna spesso la carne di maiale. Così questo piatto è un po' una sintesi delle tre cucine che finora ho conosciuto e amato.
Quindi dopo tanti viaggi e frequentazioni di cucine diverse, queste associazioni ti sono risultate spontanee. Per chi invece è ancora molto abituato “al mangiare di casa propria”, questi piatti possono essere un piccolo shock. Che mi dici dei clienti che hai incontrato nei vari Paesi? Hanno mostrato sempre tutti la giusta apertura?
Di solito sì, ma anche qui ci sono differenze da un Paese all'altro. I clienti giapponesi sono tutti talmente educati che, anche se non gradiscono il piatto, continueranno a sorridere a tutto il personale come se nulla fosse e per lo chef è difficile accorgersi se ha commesso un errore. I clienti italiani invece sono più aperti e sinceri. Se qualcosa non funziona nel piatto che gli hai preparato o hai fatto un'associazione troppo audace te lo dicono; quando invece sorridono e ti fanno un complimento sai che per loro hai fatto un buon lavoro e puoi stare tranquillo. Amo molto la clientela italiana, perché con la sua franchezza e spontaneità mi rende più facile perfezionare le mie preparazioni fusion per farle diventare sempre una piacevole sorpresa.