Era l’ultimo giorno del servizio giornalistico della rivista “Italiazuki (= Amo l’Italia)” per la monografia sul Piemonte. “Nessuna cucina è paragonabile a quella di Okan (= mamma nel dialetto di Osaka)!” disse il fotografo con gli occhi inumiditi e la bocca piena di torta di zucchini. Guardandolo provavo un complesso senso di sconfitta. Quel pranzo non era previsto ed era l’unico che non avevo organizzato io!
Successe durante la visita all’Az. Ag. Veglio Piero (frazione Patro, Moncalvo), il padre della rinascita dell’olio d’oliva piemontese. Gilda insieme a Piero e all’esuberante Valentino, il loro figlio, ci aspettavano preparando un pranzo improvvisato. Un monumentale bollito misto per degustare il loro olio, la torta salata, gli agnolotti monferrini e perfino la semplice giardiniera, facevano sentire il calore del cuore da mamma e la troupe del servizio si era dimenticata degli impegni e divorava avidamente questi piatti. Nel lavoro di coordinamento per questa rivista, per cui ho curato diverse regioni del Nord Italia, la cosa più difficile per me è sempre stata trovare una mamma non professionista che ci preparasse una cena da condividere con i familiari, illustrandoci le ricette della sua cucina.
Qui da noi al nord, dove le donne che lavorano fuori casa sono in costante aumento e il carattere della gente è più chiuso, è quasi una missione impossibile trovare qualcuna che, oltre a saper cucinare bene, apra la porta della sua casa a sconosciuti Giapponesi. Tuttavia, forse proprio perché nella famiglia giapponese i legami sono sempre meno stretti, mi sembra normale che i lettori si lascino affascinare dalle mamme italiane e che le pagine dedicate alla “cucina di mamma” siano quelle più amate.
Anche quella volta ero riuscita a convincere la mamma di una mia amica a partecipare al nostro “gioco”, naturalmente in cambio di una cena di sushi fatta da me per tutta la famiglia. Avevamo scelto il menu, mobilitato tutti i parenti e la troupe era soddisfattissima di aver assistito allo spettacolo di una famiglia italiana, proprio come se la immaginano i Giapponesi. Tuttavia, bellezza dell’Italia, dopo due giorni soli Gilda, con la sua spontaneità, aveva regalato loro una felicità ancora più grande. Mi ricordo che Olivier Roellinger, un grande chef francese maestro nell’uso delle spezie, raccontò in un’intervista ciò che gli era accaduto durante un suo viaggio in India. Con fatica si era fatto presentare una donna molto famosa per la sua cucina ma, quando le aveva chiesto di cucinare per lui, la risposta era stata: “Le chiedo scusa, ma io non La conosco, per cui non sono in grado di cucinare per Lei.” Roellinger si rese conto che, forse egoisticamente, aveva cucinato tutta la vita per gente che non conosceva.
A me questo episodio fa venire in mente mia suocera che, mentre mangiamo, sta in piedi girata di schiena, rivolta ai fornelli, mentre nella piccola cucina si accumula il vapore. Al marito e ai figli piacciono cotture diverse per la pasta. Solo per poter vedere la famiglia soddisfatta dedica così il suo tempo a curare i minimi dettagli, da più di 50 anni come oggi. Anche il pranzo di Gilda quel giorno radunava tutti i piatti preferiti dei suoi, che lei è abituata a preparare da anni e anni. Io non avevo mai visto mia madre comportarsi così. Lei era una donna di carriera, molto rara da trovare in campagna a quei tempi. Non era mai ispirata a mettersi in cucina e, a volte, quando trovava un piatto facile e veloce, continuava a proporcelo per più di una settimana. Però, ora che ci penso, anche lei aveva delle specialità che potevano aspirare a far parte della “cucina di mamma”: Il suo Kurisekihan (sticky rice al vapore con castagne e fagioli azuki ), il Kuromame (soia nera in agrodolce) e il Kirinoha sushi (sushi avvolto in foglie di paulonia). Tutti questi erano i tipici piatti per un giorno importante della vita quotidiana, come la festa per un buon raccolto di riso in autunno o il capodanno. E lei, a dire il vero, dopo essere andata in pensione, aveva chiesto a nonna i suoi segreti e, man mano, li aveva fatti diventare il suo punto d’orgoglio. Così in famiglia tutti ci aspettavamo che ce li facesse nelle ricorrenze. Lo sticky rice a vapore rimane soffice e non troppo umido, le castagne asciutte, farinose con il loro sapore croccante; la soia nera felicemente gonfia e morbida e, quando apri la profumatissima foglia di paulonia, compare una polpetta di riso brillante (perché appena raccolto) insieme al salmone sotto sale e zenzero. Le stesse cose preparate da altri non andavano assolutamente bene per noi, quelli erano i sapori fatti da lei con il piacere di cucinare per mio padre.
Cucina di mamma. Quando venne a trovarmi in Italia le chiesi i segreti per poter eseguire bene questi piatti. “Ah! Quelli sono facilissimi da fare!” ascoltandola mi ricordai che anche mia nonna quando glieli spiegava iniziava con “sono facilissimi”. È questa la difficoltà! Anche quest’autunno, su invito della rivista “Italiazuki”, una mamma italiana andrà in Giappone a presentare le sue ricette, che verranno realizzate da un’equipe di cuochi professionisti. Qualche migliaio di persone, forse più, andranno in folla a trovare una signora qualsiasi che fino a quel momento aveva cucinato solo per la famiglia o per gli amici. Una mamma italiana sarà destinata a diventare, per qualche giorno, un fenomeno che neanche Carlo Cracco si può permettere.