Un bel sondaggio promosso dall'Associazione Le donne della birra, a tema birra e covid-19, ha evidenziato un aumento dei consumi di birra artigianale e una crescita triplicata delle vendite online nel periodo di lockdown. L'inchiesta però è stata condotta su un campione di consumatori definiti “esigenti”, che già prediligono la birra artigianale. Il risultato è dunque falsato: come chiedere a un appassionato di musica rock se preferisce i Pink Floyd o Gigi d'Alessio. In realtà, la situazione degli ultimi mesi è stata molto complessa e ha messo a dura prova tutte le maglie del settore.
I birrifici hanno interrotto o ridotto la produzione, e perso il principale canale di smercio (i pub). I distributori hanno sostanzialmente azzerato il loro lavoro. I publican si sono dapprima ritrovati forzatamente chiusi, e poi costretti a interpretare e a adeguarsi a nuove norme di fruizione dei locali. Un panorama fosco, ma fortunatamente non del tutto immobile. La birra artigianale, infatti, ha continuato a dissetare le fauci di noi appassionati. Con nuove formule: le bevute al pub, è vero, sono state in parte sostituite dal consumo casalingo, reso possibile dall'ecommerce e dal delivery. Un palliativo che ha addolcito le nostre costrizioni domestiche e ha dato un poco di ossigeno – morale prima che economico – alla catena produttiva.
Cosa succederà nei prossimi mesi? Per decifrare una situazione inedita e in continuo divenire servirebbe la sfera di cristallo. Noi abbiamo provato a fare il punto con alcuni protagonisti del settore.
Codogno, Piozzo, Italia: l'emergenza vista dai birrifici
Sabato 22 febbraio a Codogno viene istituita la zona rossa. Sembra un evento lontano nel tempo, ma sono trascorsi soltanto poco più di 3 (terribili) mesi. A Codogno ha sede Brewfist, uno dei birrifici più importanti della scena artigianale italiana. Sono diventati un simbolo di questo periodo, soprattutto all'inizio, quando hanno vissuto in anticipo di qualche settimana quello che poi ha investito tutta l'Italia (e parte del mondo).
“In realtà siamo rimasti fermi soltanto due giorni – racconta Andrea Maiocchi, titolare di Brewfist –. Lunedì 24 febbraio io e Pietro di Pilato (l'altro titolare, ndr) siamo potuti rientrare in azienda ottenendo la deroga a spedire la merce. Noi stessi consegnavamo al checkpoint. L'istituzione della zona rossa in tutta Italia ha cambiato le cose: abbiamo continuato la nostra comunicazione con i privati, vendendo attraverso lo shop online che avevamo inaugurato solo un mese prima. Ci ha permesso di tenere vivo il birrificio con un 5% del fatturato, e onorare i pagamenti. Dal 5 maggio siamo passati al 10% e non mi aspetto grandi cose per i prossimi mesi, forse un 20%”.
Zona Rossa, la birra prodotta da Brewfist durante il lockdownPer Maiocchi ci sono anche aspetti positivi. “
Ai miei colleghi dico che dobbiamo adattarci prima dei nemici, che sono le birre industriali e le crafty beer. Io ritengo che quest'ultime faticheranno a trovare spazio in un mercato così contratto, e che se saremo bravi – intendo come movimento – potremo conquistare quote di mercato occupate dalla birra industriale”. E come? “Evitando di rincorrere la moda dell'appena confezionato, della freschezza infinita, e lavorando sul controllo del nostro prodotto e sulla sua filiera, che è fatta di speditori e magazzini, spesso con interruzioni della catena del freddo. Dobbiamo adattare il nostro prodotto in modo che sia sempre perfetto. Questo si chiama controllo del processo, si può fare e non vuol dire stabilizzare il prodotto, che significa rovinarlo in partenza. Appena confezionato potrà perdere un pelo di aromi, ma a 3 mesi e con fluttuazioni di temperatura il consumatore troverà la mia birra ancora perfetta”.
Conquistare nuove fette di mercato. Anche
Teo Musso, mr.
Baladin, vede questa opportunità. Lo racconta guardando a numeri pesanti per un gruppo che conta 250 dipendenti (tra produzione e ristorazione) e che è passato da un +8% in Italia e +23% nel mondo nei primi due mesi dell'anno (rispetto al 2019) a un sostanziale azzeramento delle entrate nel giro di pochi giorni, con mancati introiti per il gruppo Baladin di circa 6 milioni nel periodo di lockdown.
la birra artigianale deve evidenziare la sua italianità “
La birra artigianale deve mettere in evidenza la sua italianità – spiega Teo Musso –.
Ovvero sbandierare lo stile italiano ma anche materie prime italiane. Il fatto che nel nostro Paese la birra artigianale sia regolata legislativamente, cosa unica in Europa, non può essere soltanto una conquista normativa, ma dobbiamo far sì che il consumatore riconosca quello che è artigianale da quello che è soltanto vestito da artigianale. Assieme a questo, dobbiamo trasmettere il concetto di birra come prodotto agroalimentare: sarebbe un passaggio mentale fondamentale, che imprimerebbe nuovo valore al prodotto birra. Rafforzando la nostra identità possiamo andare a conquistare piccole quote di mercato, che per noi sono sempre grandi”.
Teo MussoPerché, ricorda Musso, una caratteristica tutta italiana è la microdimensione delle aziende. “
Il nostro comparto è fatto di piccole, piccolissime e microaziende. Tolti rarissimi casi, è un mondo rivolto all'horeca, e in percentuali bassissime alla grande distribuzione. Il primo vivrà una riduzione della richiesta, il secondo è cresciuto in questi ultimi mesi ma in maniera quasi irrilevante. Nella GDO vengono venduti circa 40-45 mila ettolitri di birra artigianale all'anno, che rappresentano una parte decisamente marginale della birra venduta a scaffale. C'è uno spazio enorme”.
Massimo Versaci e Fausto Marenco, titolari di Maltus FaberOgni birrificio ha vissuto situazioni e problematiche personali. In questi ultimi mesi è andata meglio – non bene, meglio – a realtà più piccole e consolidate, come ci conferma
Fausto Marenco di
Maltus Faber, birrificio genovese. “
Siamo riusciti in maniera spontanea e indipendente a tamponare, lavorando tanto sul diretto e con consegne in delivery. I numeri sono stati pesanti: -50% di fatturato in marzo e maggio, -75% ad aprile e il blocco della produzione ci ha fatto perdere quasi 30 cotte da 1000 litri. Ma siamo sopravvissuti perché non abbiamo debiti pregressi, avendo già ammortizzato da tempo gli investimenti, e perché non siamo di tendenza, ma abbiamo una clientela fortemente fidelizzata e un radicamento prettamente locale”.
I publican, tra distanziamento sociale e sostegni mancati
Antonio “Nino” Maiorano (nel mondo della birra artigianale il soprannome è come le stellette per i militari) è il titolare del locale milanese Lambiczoon, uno dei monumenti italiani, da oltre 20 anni, del bere birra di qualità. Delle 12 spine del suo locale in via Friuli (Porta Romana), soltanto 8 sono tornate in funzione. “Noi publican stiamo cercando di riaprire dopo oltre due mesi di chiusura, e chi è bravo fa il 50% del vecchio fatturato, altrimenti ci si ferma al 22-25%. Significa che ogni giorno accumuliamo un debito che varia dai 200 ai 600 euro: un microdebito quotidiano che si aggiunge al macrodebito generato nei mesi di lockdown. Moltissimi non apriranno più o saranno costretti a chiudere, verosimilmente un 15%”.
Lambiczoon, pre Covid-19 (foto ©mitomorrow)Due sono gli aspetti che fanno più male a Maiorano. Da una parte spicca l'assenza di aiuti concreti dalle istituzioni. “
In molti paesi europei i nostri colleghi hanno ricevuto ingenti contributi a fondo perduto. Noi invece ci ritroviamo con le casse integrazioni di marzo e aprile ancora da saldare e le banche che prestano i soldi soltanto a chi non ha debiti”. Dall'altra un aspetto se si vuole ancora più subdolo, che mina il ruolo stesso del publican.
“Fa male passare per gli untori, quando evidentemente l'emergenza è nata in tutt'altri luoghi. Un messaggio doppiamente negativo perché noi abbiamo impostato tutto il nostro lavoro sull'avvicinamento sociale. L'accoglienza è il nostro business: i buoni prodotti si possono trovare ovunque, è l'accoglienza che fa la differenza”.
La conferma arriva da
Simonmattia Riva, publican a Bergamo con il suo
Beer Garage. “
La situazione è complicata – spiega colui che si è laureato, nel 2015, campione mondiale dei Biersommelier –
perché la birra è una bevanda che ha sempre generato aggregazione. Però vedo nella gente una gran voglia di ripartire. Anche qui a Bergamo, che a marzo sembrava una città fantasma attraversata soltanto da ambulanze e carri funebri. Oggi la gente è tornata per strada, in massima parte rispettosa delle distanze e con mascherine. Al locale sono tornati gli habituè, che sono il nostro migliore investimento nei momenti di crisi. Oggi viviamo due timori: quello di non aver interpretato bene le linee guida e di incorrere in sanzioni e l'incognita di un possibile ritorno dell'emergenza in autunno: sarebbe una vera tragedia, sanitaria ed economica”.
Beer garage (Bergamo), post covid: paratie di plexiglass posti limitatiNon tutta l'Italia è la Lombardia. Da Roma l'emergenza sembra più lontana, ma ha picchiato duro lo stesso. La Capitale è una realtà a se stante per la birra artigianale, che qui arriva a pesare fino al 20% dei consumi. Incontriamo
Manuele Colonna, una figura importante per il settore, dalle innumerevoli giacche: perché è publican con il suo
Ma che siete venuti a fa' in Trastevere, ma anche distributore e organizzatore di eventi, dal FrankerBierFest ad Eurhop, il più grande evento italiano dedicato alla birra artigianale.
“
Abbiamo riaperto il 19 maggio, dalle 16.30 alle 20.30, e solo take away. Il buonsenso ci ha fatto ripartire per gradi, perché sapevamo che se avessimo detto liberi tutti nel weekend non avremmo potuto gestire la situazione. Dobbiamo stare attenti, perché siamo diventati il capro espiatorio, per tanta gente appena apriamo la serranda siamo sbagliati. Dal 1° giugno abbiamo riaperto dalle 12 alle 22, dando nuovamente la possibilità di godersi nel locale una birra nel vetro, spillata come si deve”. Per preservare la freschezza della birra, nel locale sono attive soltanto 8 delle 16 vie. "
Oggi tre vie sono dedicate alle IPA, altrettante alle birre della Franconia. Nessuna sour è presente alla spina, le birre più particolari sono coperte con le bottiglie”.
Manuele ColonnaLa nuova via è la semplicità di beva? “
Se agli esordi il geek e il nerd della birra faceva da traino al locale, oggi numericamente in Italia sta diventando quasi irrilevante. Il cliente medio vuole bere pale ale, bitter e birre della Franconia non perché sono una nuova tendenza, ma perché è fisiologico. Non ricerca la birra che stupisce, ma la birra che invita al secondo bicchiere e ha personalità”. Certe “bombe” allora le berremo a casa, o nei festival come Eurhop. “
Che quest'anno è quasi impossibile da organizzare. Se sarà fatto, sarà solo con birre italiane, senza stranieri. Spero però di poter recuperare il FrankerBeerFest, che è l'happening festoso a cui davvero tengo”.
Il futuro della birra artigianale: consegnata a casa o sugli scaffali della GDO?
“I birrifici hanno sperimentato il delivery, che è una goccia nell'oceano, ma è stato apprezzato e un po' come lo smart working continuerà anche dopo questo periodo”. Lorenzo “Kuaska” Dabove, il decano del movimento italiano, ne è certo. Meno convinto un altro grande “narratore” della birra come Simone Cantoni. “Credo che il delivery tenderà a sparire. È stata una situazione di forza maggiore, frutto dello sforzo dei birrifici da una parte e la volontà di aiutarli da parte dei consumatori. Ma non credo possa assumere un ruolo strategico, a meno che la situazioni non perduri. Invece ritengo essenziale il ruolo delle tap room per i birrifici: la vendita diretta con spillatura è essenziale per fidelizzare il cliente e accoglierlo nel proprio birrificio”.
Lorenzo "Kuaska" DaboveGenova (Kuaska) e Pisa (Cantoni) hanno posizioni diverse anche rispetto alla GDO. “
Il problema italiano è che i birrifici sono minuscoli, io li chiamo goccifici. Però mi piacerebbe vedere la birra artigianale dappertutto, anche al supermercato, come succcede negli Stati Uniti” spiega
Kuaska. “
Negli Stati Uniti vedi artigianale ovunque – gli fa eco
Cantoni -
ma sono contesti diversi. Il consumo è imparagonabile. Nella mia regione, la Toscana, il consumo annuo procapite di birra è di 10 litri, ovviamente con una quota industriale predominante. Beviamo troppo poco per avere l'artigianale al supermercato”. Dubbi, se non chiusure assolute, arrivano anche dai birrifici. “
Non è il nostro mercato, non abbiamo i numeri per sostenerlo, e poi noi abbiamo bisogno di un rapporto diretto con i nostri clienti, meglio investire in punti vendita propri” spiega
Maiocchi, e così
Marenco: “
Entrare nella GDO è anche una questione di prezzo: qualunque birrificio artigianale deve capire che se ti cali le braghe oggi non le salirai mai più”.
Teo Musso la vede diversamente. “
L'ingresso dei piccoli nella GDO non è un problema di prezzo, ma di comunicazione. Servono strategie di posizionamento. Bisogna spingere sul marchio “artigianale” e creare corner facilmente riconoscibili per l'acquirente”.
Simone Cantoni
Un'occasione per la birra artigianale?
Le crisi non sono mai indolori. Spesso accellerano dinamiche latenti, difficoltà nascoste. E il favoloso mondo della craft beer revolution italiana già di suo stava arrivando a un dunque, una sorta di maturità dove non è più tutto rose e fiori. Il consumatore ha acquisito una nuova consapevolezza, che si riverbera in una qualità media piuttosto alta e in una capillare diffusione di buoni locali dove bere bene, ma il consumo “artigianale” non ha sfondato e vive una fase di stallo.
"Chi ha fatto investimenti approssimativi e non ha avuto una visione imprenditoriale era destinato a soffrire, con o senza Covid - spiega Kuaska -. Chi aveva le spalle coperte si salverà, ma problemi seri erano all'ordine del giorno anche per diversi birrifici famosi”.
Certamente vivremo i pub con una gioia frenata, almeno per un po' di tempo. Sperando che presto la situazione si ricomponga a livello nazionale, senza che comuni e regioni assumano provvedimenti autonomi, “in una miriade di leggi, leggine e dispositivi che finiscono con il frantumare la cornice stessa nella quale la ripresa può essere organica” dicendola con le parole di Cantoni. E senza più colpevolizzare la movida, come ha spiegato Stefano Nincevich in un suo bell'articolo.
Anche nell'ora più buia abbiamo registrato la nascita di nuove birre (a proposito, dovremo stappare una Zona Rossa, la nuova pale ale creata da Brewfist con i luppoli e i malti che avevano in birrificio durante il lockdown), la reazione dinamica dei publican, l'affetto dei consumatori. Nella pinta, c'è fermento. E quando si parla di birra, non ci si potrebbe augurare di meglio.