Non vuole dirmi l’età Vitaliano, ma ha solo 47 anni; però si capisce che di cose ne ha fatte con suo fratello Pico, che di anni ne ha due in più di lui. Loro hanno iniziato con l’avventura del vino nel 1997, quando la scomparsa del nonno, che aveva la vigna in quel di Mombaruzzo, il paese degli amaretti De.Co., gli ha trasmesso il desiderio di un riscatto. Erano gli anni rampanti del mondo del vino, che aveva ormai elaborato il lutto dello scandalo del metanolo di 11 anni prima e chissà se proprio il millesimo magico del 1997 gli ha fatto prendere la decisione. Sta di fatto che loro sono partiti alla grande con nuovi impianti su 75 ettari.
I due fratelli Pico e Vitaliano MaccarioNel 2000 ecco la prima vendemmia, di barbera naturalmente, anche se il
Tre Roveri, che oggi è un Nizza, uscì nel 1998, con le uve delle vigne del nonno, mentre la Barbera che poi ha sfondato nel mondo, il
Lavignone, è nata nel 1999, con le prime uve dei nuovi impianti. La
Barbera “Epico” nasce invece dieci anni dopo.
La Barbera d'Asti "Epico"Oggi gli ettari sono
200 di cui 85 a barbera per
750mila bottiglie. E a Vitaliano non sembra vero se pensa a quelle voci di paese che gli davano un po’ dei folli. E invece pare che ci abbiano visto giusto, incrementando subito il progetto Barbera d’Asti "Lavignone" che oggi riguarda
350mila bottiglie, ma che non si fermerà qui.
Qual è dunque il punto da cui siete partiti?
Avere le vigne di proprietà e quindi fare il vino solo con le nostre uve.
E vi è andata bene?
Be', il trend di attenzione al vino ci ha travolti, tant’è che ancora oggi il 50% del nostro business è all’estero e il mercato più importante sono gli Stati Uniti.
È per questo che avete scelto di produrre Barolo?
Noi restiamo barberisti, ma l’esigenza di ampliare la gamma, soprattutto all’estero, era il passo necessario.
E quindi cosa avete fatto?
Abbiamo affittato vigne a Serralunga, a La Morra e a Barolo.
Sì, ma subito il cru Cannubi, molto ambizioso direi?
Ma hai mai conosciuto un imprenditore senza ambizioni?
I Barolo di Pico MaccarioCerto, io ho assaggiato i due Barolo e le tre Barbera e se riconosco un buon lavoro in cantina mi trovo a dirti le stesse cose che dissi a Michele Chiarlo anni fa quando fece la medesima operazione: buono il Barolo, ma la Barbera resta il tuo vino.
Questo ci fa piacere, ancora più dopo aver chiamato un enologo come Giovanni Chiarlo che sulla Barbera sa il fatto suo.
La Barbera d'Asti Superiore Nizza "Tre Roveri"E sai quale Barbera mi è più piaciuta delle tre?
Lavignone!
La Barbera d'Asti "Lavignone"Esatto: una Barbera vinosa, minerale, equilibrata, fresca, decisamente tipica delle nostre terre, anche se io sono di qualche chilometro più in là, dove fanno anche la Barbera mossa.
Eh già, ma qui noi ci fermiamo perché quel tipo di Barbera che non è così facile da produrre, come si può pensare, è un’altra storia, è quella di Giacomo Bologna, che ha raccontato l’unicum delle vostre terre.
A proposito di Giacomo, che fra i primi sperimentò la piccola botte di legno, anche voi avete una teoria di botti di ogni dimensione...
Sì è così, perché come tanti produttori astigiani anche noi ci siamo applicati all’identità della Barbera in un luogo, in questo caso Mombaruzzo, e alla sua versatilità, che si esprime in maniera diversa a seconda dei vari affinamenti.
Questo perché la Barbera, ormai è acclarato, resta un vino internazionale...
Certo, ma guai a crogiolarsi sui risultati raggiunti. Noi in questo anno abbiamo cambiato strategia e siamo ripartiti con un desiderio maggiore di confronto sui mercati internazionali.
Ma su quali mercati il Nizza è riconosciuto?
Si sta affermando, ma siamo solo agli inizi, però le premesse ci sono tutte per affermare quella che voleva essere una super Barbera.
E non una sottozona come all’inizio volevano chiamarla, confondendo il linguaggio burocratese e ministeriale con la comunicazione, il marketing. Io all’inizio dell’operazione Nizza ero scettico, perché pur giudicandola buona la vedevo storicamente in ritardo, rispetto a denominazioni legate a luoghi come Barolo o Barbaresco, eppure il Nizza si è affermato, nonostante sia più celebre la città francese. Grazie a quale fattore si può dire di un certo successo?
Agli imprenditori del Nizza che hanno la mentalità giusta, sono disposti a collaborare e a riconoscere che la fortuna di una denominazione sta nella pluralità: piccolo produttori accanto a cantine magari più grandi (anche se non grandissime) e già affermate. Questo è il bello, perché al centro c’è il territorio.
La Cantina di Pico Maccario a MombaruzzoCome hai vissuto questo anno?
Guarda, il primo mese, nel marzo di un anno fa, sono salito sul trattore, da mattina a sera per non impazzire: 8 viaggi disdetti in varie parti del mondo e l’angoscia di trovarsi di fronte a qualcosa di non conosciuto.
E poi, come è andata?
A settembre avevamo il segno + rispetto all’anno precedente, poi il secondo lockdown ha frenato, ma il 2020 lo abbiamo chiuso appena con un - 3%.
Ma cosa ti ha fatto scendere dal trattore?
La progettualità, l’incapacità a stare fermi. Il progetto Langhe ad esempio ci ha dato la carica, ci ha indicato la strada del confronto che è adrenalina pura.
Quindi ti senti proiettato nel futuro...
Sì ma mi spiace per esempio che sia stato cancellato Vinitaly per il secondo anno consecutivo. Per me rappresentava la luce in fondo al tunnel e anche quella proiezione di cui parli.
Non tutto è perduto Vitaliano: torno proprio da Verona dove ho visto il medesimo atteggiamento che dici tu. Stanno lavorando con un certo entusiasmo a una Special Edition che è già stata programmata a metà ottobre a Verona e che vedrà una partecipazione interessante, sia di produttori sia di buyer, che ne pensi?
Io ci credo! Ed è sciocco pensare che non essendoci Vinitaly risparmio dei soldi. Alcuni fanno dei conti del genere e non ci posso credere. Dov’è l’imprenditore? Noi dobbiamo dimostrare che il mondo del vino c’è e vuole parlare. E te lo dice uno che per tanti anni ha tratto giovamento dal Vinitaly e dai rapporti che da lì sono nati.
Il tuo approccio al tema della comunicazione del vino si potrebbe definire “integrale", perché tiene conto di tanti fattori in gioco, compresa la centralità di una fiera. Però mi devi spiegare come hai fatto a far quadrare i conti?
Con la matita.
La matita?
Be', avrai notato che i nostri vini sono confezionati in quei contenitori di latta colorata a forma di matita.
I contenitori a forma di matita per le bottiglie di Pico MaccarioSì certo, ma soprattutto, passando per queste campagne avevo notato che le vigne erano colorate coi pali di inizio filare che rappresentavano appunto delle matite giganti.
Ecco, siamo partiti da lì, impiantando mille matite e poi abbiamo fatto l’astuccio che è diventato un regalo, qualcosa da collezione. E ogni vino è accostato a un colore.
I filari di vite con le matiteE avete avuto successo?
Tu non ci crederai, ma sapessi quante bottiglie di Barbera rosato abbiamo venduto per la matita rosa.
E il Lavignone?
Quello ha la matita gialla.
E il Barolo Cannubi?
Be', quella è la matita Gold.
Non ci posso credere Vitaliano: un’operazione di marketing a colori, gioiosa, che ha acceso l’attenzione sulla vostra cantina...
All’inizio, anche qui, ci criticavano perchì avevamo spinto molto sull’immagine.
Sì però il marketing poggia su tre gambe: comunicazione (ed è questa), prezzo, ma soprattutto una qualità riconosciuta. Senza la qualità tutto si sgonfierebbe...
Proprio così, per noi è stato l'inverso: catturare magari nuovi consumatori su un fattore curiosità per fargli scoprire che dentro c’è un bel vino, ma soprattutto un territorio.
Scusa Vitaliano, io sapevo della vostra follia, ma questa idea artistica dove nasce?
Da nostra madre, che era una pittrice e ci ha sempre trasmesso la gioia del colore.
Ora metti insieme il colore, la gioia e il vino. Cosa fa la somma di tutto questo?
Fa meno 3%, ma soprattutto crea entusiasmo, attenzione, nuova forma di comunicazione che conduce a un processo di distinzione. Geniale, ma di quante matite parliamo?
Sono 16 matite più le limited edition che escono sotto Natale. Durante il lockdown ho ordinato 68.000 matite.
A questo punto, restando sul tema delle matite non posso che chiederti: cosa vuoi fare da grande?
Voglio divulgare il mio territorio, voglio coinvolgere i giovani. Io credo nell’enoturismo e quindi abbiamo un programma di ospitalità per degustazioni. Però poi io ho una grande fortuna, perché a Mombaruzzo c’è Chicco Berta, che è un campione da questo punto di vista e quindi con Villa Prato che è ristorante e hotel e poi altre iniziative (Berta ha annunciato nei giorni scorsi l'acquisizione del complesso del Castelletto dell'Annunziata, una dimora d'epoca su una sommità di una collina, che a breve diventerà residenza di charme ndr)
viviamo quella che tu chiami la “Colleganza".
Eh sì questo è un esempio virtuoso e intelligente di Colleganza, che non tralascia neppure l’amaretto, e ovviamente la grappa. Ma dal punto di vista enologico che progetti hai?
Voglio fare un Lavignone sempre più grande, unico.
E le Bollicine?
Le adoro, non sono ancora pronto, ma intanto dico: perché no?
E saranno a base Barbera?
Perché no?
La nostra chiacchierata termina qui. Di Vitaliano mi hanno colpito due cose: la visione e il fatto che non gli è mai scappata una parola di critica a un collega, vicino o lontano. Insomma un imprenditore proiettato in una dimensione totale di territorio, capace tuttavia di portare un unicum, senza sgomitare, nel mondo del vino. Davvero edificante.