È morto Enrico Scavino, quello del Barolo della restituzione

Con lui e le figlie in cantina, nel febbraio del 2015, ad ascoltare la sua storia

26.02.2024

Ogni piemontese che si rispetti, quando nasce un figlio, mette vie pregiate bottiglie di vino con l’annata della nascita. Per mia figlia Irene Ornella, nata nel novembre del 1988, scelsi il Bric del Fiasc di Paolo Scavino, Barolo dell’azienda omonima di Castiglione Falletto, gestita da Enrico Scavino. Poi venne l’alluvione ad Alessandria, nel 1994 e quelle bottiglie furono danneggiate, in parte.

Vent’anni dopo, fui mandato dal direttore del La Stampa Mario Calabresi a fare un’intervista sulla storia di questa cantina. E fu un incontro memorabile, per me, dove capii la fatica originaria di tante cantine che si erano affermate nel tempo.
Un giorno intero con loro e poi, alla vigilia di Vinitaly e di Expo 2015, un gran bel pranzo in cantina, presente anche Mario Calabresi, per festeggiare un evento di solidarietà, o meglio di restituzione.
Oggi, la notizia che Enrico, a 83 anni, ci ha lasciato, per via di una complicazione in ospedale. Ci ha lasciati troppo presto, penso fra me, mentre lo ricordo con la sua indole timida e dimessa che nascondeva una tenacia straordinaria. Qui di seguito vi ripropongo il mio articolo a tutta pagina, uscito su La Stampa il 17 marzo 2015.
Enrico Scalvino con i grandi chef durante il pranzo in cantina del 20 marzo 2015“Quando non c’era nulla” si potrebbe titolare l’epopea della famiglia Scavino, autrice di uno dei più ricercati Barolo nel mondo che nasce a Castiglione Falletto. Paolo Scavino è dunque rimasto il nome dell’azienda in omaggio a colui che negli anni Cinquanta fondò questa cantina. Il fratello Alfonso darà invece vita ad Azelia, poco distante. E quando iniziarono la lenta ascesa di convertire l’azienda agricola classica (che coltivava e allevava di tutto), il Barolo non era quello di oggi: si vendeva sfuso. Tuttavia, man man che cresceva il benessere e giravano le auto della Fiat, nelle aie delle Langhe, la domenica pomeriggio, si aspettavano i clienti dei ristoranti Da Felicin e Belvedere che venivano a comprare le bottiglie. Enrico Scavino (classe 1941), figlio di Paolo è davanti a me, con sua figlia Enrica, 40 anni, bellissima, nella sala degustazioni che dà su quella stessa aia. La figlia Elisa, enologa, 33 anni, è all’estero a promuovere i vini. Ed Enrico, che presto depositerà le sue memoria a un libro, racconta: “Nel 1949 mia sorella studiava; io invece, finite le elementari non avevo più voglia. E ricordo ancora il sorriso di mio papà: avremmo risparmiato 120 mila lire col mio ingresso in azienda. Quando ci dividemmo fra famiglie, fu spartita anche la coppia di buoi perché non ce ne potevamo permettere due a testa, ma quando serviva li rimettevano insieme. E poi ricorda di quando dava il verderame, dei primi zoccoli polacchi per andare in vigna a combattere la peronospora che poi rimanevano nel fango “E allora era meglio andare a piedi nudi”. Poi un cliente di Felicin gli dice: “Ma perché non compri da me un cingolato, me lo paghi in vino”. Una rivoluzione.
Il primo articolo sui suoi vini fu di Luigi Veronelli, folgorato dai due Barolo del secolo: il 1961 e il 1964; ma forse l’annata più importante rimane il 1958 che diede poca uva e fece capire che minor quantità dava più qualità. E da lì inizia la tecnica del diradamento in vigna. Al primo Vinitaly del 1986 Enrico Scavino e la moglie, espositori, non incontrano nessuno e tornano a casa sconsolati. L’anno dopo Enrico va da solo, pensando non ci fosse granché da fare. E invece un articolo sulla rivista tedesca Flachenpost del suo Barolo Bric del Fiasc 1982, provoca l’invasione dello stand. Fu la consacrazione: ordini da 200 – 300 bottiglie alla volta. Al che decisero di lasciare le vacche e i frutteti e di dedicarsi interamente alla vigna e al vino. L’altra consacrazione arriva da un articolo sul Mondo quando Cesare Pillon recensisce il suo Barolo Bric del Fiasc. Il cru Bric del Fiasc nasce nel 1978, perché Enrico chiede al padre il permesso di vinificare sole le uve di quella vigna. Una follia per allora. Ma lui aveva in mente il detto “per fè del vin bon, ogni rapa vanta dam ‘n cun" (per fare del vino buono occorre che ad ogni grappolo venga voglia di dare un morso).
Oggi la Paolo Scavino vende l’80 per cento all’estero e il 20 in Italia. In tutto 170 mila bottiglie, in gran parte Barolo, che sono quasi tutti dei cru (oltre al “Bric del Fiasc” anche “Vignolo”, “Rocche dell’Annunziata”, “Rocche di Castiglione”, “Vignane”, “Bricco Ambrosio”, “Monvigliero” “Prapò”, “Pernanno” e “Ravera”. Hanno vigne in 7 paesi del Barolo su 11: in tutto 24 ettari). Ma una famiglia che ancora lucidamente ha presente i passaggi di una vita, ha dentro un qualcosa di molto italiano che si chiama “principio di restituzione”. E così, di comune accordo, hanno deciso che la loro prima riserva di Bric del Fiasc, l’annata 2008 che sancisce 30 anni, divisa fra bottiglie, magnum e doppie magnum, andrà in beneficenza, per borse di studio destinate soprattutto a medici impegnati in ospedali nei paesi più in difficoltà. Assaggio questo Bric del Fiasc riserva 2008 (senti la viola, la mineralità, il frutto della passione, l’incenso; poi un’incredibile filigrana pregnante in bocca, per un sorso intenso e potente, molto elegante e incisivo): il meglio della tradizione e il meglio dell’innovazione. Questo mi viene da dire a Enrico Scavino, uno che ricerca sempre: ha fatto degli scassi recenti nella vigna del Bric del Fiasc fin sotto i 3 metri; ha introdotto i rotomaceratori, le barrique, ma non quelle nuove. E pensa che la cosa più importante sia la selezione dei cloni; ma soprattutto pensa che non ci si deve mai fermare. C’è qualcosa di religioso in questa ricerca di perfezione del Barolo, che ricorda i monaci benedettini che bonificarono la Borgogna. E tutto questo c’entra con quel principio di restituzione. Lo spiega la figlia Enrica: “Sai Paolo, viviamo in una zona dove si sta bene, dove c’è serenità, lavoro. Una volta non era così: era durissima. Ma io ho conosciuto solo la parte migliore”. E allora? “Allora ho sentito, abbiamo sentito il bisogno di fare qualcosa per chi non è stato fortunato come noi. O non lo è in questo momento”.

Grazie famiglia Scavino!

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