Capitan Carlo da Oneglia

09.07.2015

“E tu quanto l’hai pagato?” “50 euro a prezzo scontato”. Alla risposta di mio marito, Carlo abbassò lo sguardo e trasse un sospiro. Mio marito, già al primo giorno della nostra vacanza in Liguria, era andato di prima mattina al porto ad aspettare il ritorno della barche alla ricerca di un tonno appena pescato ed aveva chiesto proprio a lui, il primo pescatore che aveva visto, se poteva vendergliene uno. Lui aveva scosso la testa e gli aveva indicato un altro peschereccio che c’era vicino. “Sei stato fregato. Un tonno così piccolo non viene ritirato dal consorzio perché è fuori misura. Perciò doveva accontentarsi di 15 euro. Non dovevo fartelo conoscere. Ti chiedo scusa”. A Claudio era piaciuto quel pescatore, così mi portò a conoscerlo. Era il tardo pomeriggio di un luglio caldo e umido. Quando ci vide, passò un ponte di legno a terra e ci invitò a salire sulla barca. Il porto di Oneglia cominciava a riempirsi di gente per una passeggiata o un aperitivo. Carlo, che era nel suo giorno di riposo, tirò fuori una bottiglia di vino bianco fresco e ce ne diede un bicchiere. Poi disse che se fossimo passati da lui un mattino ci avrebbe regalato qualche pesce. Così conoscemmo il nostro Capitano. 

Aveva appena preso una barca nuova, attrezzata per la pescaturismo, così gli era permesso di portare la gente in mare. Allora praticava due tipi di pesca, o con la rete o con i palamiti, cioè con gli ami e l’esca. La scelta dipendeva dal periodo e pescava soprattutto pesci spada. Mio marito, figlio di macellaio e carnivoro, era affascinato dalla pesca come una cosa esotica e non ci mise molto tempo a convincere il giovane pescatore di origine siciliana, fiero del suo mestiere, a portarci con lui. 

Il giorno dopo lasciammo il porto verso le 15 e, a circa 40 miglia dalla costa, Calogero, il cognato di Carlo cominciò a gettare ami con lo sgombro per chilometri e chilometri. Il lavoro, iniziato mentre il sole era ancora alto, finì dopo il tramonto. Dopo una cena a base di pescato, cullati dal rollio, lasciando solo Carlo al timone, tutti ci ritirammo nelle cuccette sottocoperta. Immergendo il viso nel cuscino, inumidito dall’aria salmastra, ci misi poco ad addormentarmi. “Sveglia!!” Appena dopo mezzanotte, Capitan Carlo, con voce tonante, svegliò noi e gli altri pescatori. Mettendomi in un secondo gli stivali di gomma e un impermeabile, uscii fuori barcollando e fui accolta da un’immensa stellata, come non ne avevo mai viste, che sembrava il cielo mi cadesse sulla testa. Il silenzio del mare nero come il carbone era turbato solo dallo sciabordio delle onde tranquille contro la chiglia e, lontano, dai salti dei pesci volanti. I fari vennero accesi.  L’ora di lavorare!

Erano già passati 20 minuti, ma non era successo nulla. Aumentava solo il numero degli ami ritirati dal mare nel vascone vuoto. Non potevo fare null’altro che aspettare e scrutare invano l’acqua del mare. Mi ero posizionata a fianco di Carlo con emozione, ma mi prese un po’ di stanchezza, così mi spostai a sedermi sul tribordo. Carlo abbassò il motore. Vidi il filo che si tendeva dritto tirando verso il fondo del mare. C’era qualche animale… Mi alzai e mi avvicinai alla poppa. Sul ponte si dibatteva un povero pesce luna. Che animale simpatico! Dispiaceva dirgli addio, ma Carlo lo liberò in mare.  Allora cominciai a scrutare in viso Carlo e Calogero, attendendo che comparisse un po’ d’emozione. Questa volta c’era! Rallentò ancora il motore e avvolgeva il filo molto pazientemente. Non sentivo niente altro che le onde rotte sui bordi. Ad un tratto, sulla nera superficie del mare, comparve una figura grande e bianca sotto la luce dei fari. Pesce spada! Carlo preparò uno straccio spesso per prendere la spada. Il muscolo dietro la schiena, era una montagna, proprio come quello di un lottatore di sumo.  “Ehi, allontanatevi! Taglia. È pericolosa!” Ci volevano due uomini per tirarlo sulla nave, ma poi bisognava eviscerarlo con un coltello, al più presto. 

Anche il padre di Carlo era un pescatore. Catturava anche lui pesci di grande taglia, pesci spada o tonni con un peschereccio. Non so come funziona da altre parti ma, parlando dei pescatori d’Oneglia, i mestieri sono ben divisi. I pescatori napoletani, con grandi barche, prendono acciughe o tonni usando la pesca a circuizione che cattura un gruppo intero di pesci. Gli abruzzesi, invece, sono specialisti della rete a strascico, per prendere gamberi e pesci di scoglio. I liguri non vanno a pescare; rimangono a terra a ritirare i pesci e li mettono all’asta. I siciliani come Carlo vanno a pesca del pesce spada con la rete o i palamiti. Fino a qualche anno fa pescavano anche tonni ma, per la protezione della specie, venne proibito di pescare esemplari inferiori ad una certa misura. E poi il governo ha completamente vietato la pesca con reti alle piccole barche. Carlo c’era rimasto molto male e, per un po’, la sua rete l’ha tenuta nel magazzino. Poi, quando ha visto che le cose non cambiavano, l’ha ceduta ad un altro. Peccato perché aveva le maglie molto grandi, in modo che i tonni piccoli non ci finissero dentro. I pescherecci francesi della stessa misura, nello stesso mare, ancora oggi continuano a pescarli tranquillamente. Non riesce a farsene una ragione. Il suo mestiere è partire verso il mare aperto, dovrebbe fare i conti solamente con la natura, non ha un capo a pretendere che gli si dia sempre ragione. Il lavoro è fisico e duro, ma dovrebbe essere ripagato da una libertà immensa come quell’orizzonte. Tuttavia la realtà è che gli tocca lavorare osservando molti regolamenti che a volte gli sembrano assurdi, incomprensibili.

“A proposito sai la storia della pesca a palamito? Tanto tempo fa un siciliano vide in America come gli americani pescavano i pesci spada. Così tornò ad Oneglia e pescava in questa maniera senza farlo sapere a nessuno. Quindi pigliava tanti pesci solo lui, mentre gli altri non prendevano nulla. Ma dopo un po’ questo qui non poteva tenerlo questo segreto, così lo fece vedere agli altri siciliani. Chi era? Un certo Santino Auditore. Morì nel 1962. Gabido? (parla proprio così )”. Questa storia me l’ha raccontata con gioia quando gli ho telefonato per scrivere questo articolo. È vero che la rete non la possono più usare e niente tonni. Ma questo tipo di pesca, portata da un compaesano, ha dei vantaggi. Il pesce spada riesce a respirare solo nuotando quindi, quando finisce nella rete, muore per soffocamento. Invece il palamito gli permette di muoversi e in più la carne non viene rovinata; per cui il pesce pescato con l’amo viene venduto ad un prezzo relativamente alto. Oggi, quando gli ho telefonato, era in barca. Ha preso quattro pesci spada e mi manderà le foto per farmi arrabbiare.  “Modogo, se scrivi dì a tutti che i pescatori artigianali come noi sono la vera specie in via d’estinzione!”. ??

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