Sfida aperta tra i produttori sul nome del Barolo. A lanciare l’appello è una delle cantine più antiche di Alba, Pio Cesare, che ha deciso di inserire sulle etichette di Barolo e Barbaresco la frase ”…e non chiamatelo Base”. Ma per quale ragione? Pare sia sempre più frequente, tra appassionati ed esperti del settore, indicare con l’appellativo “Base” i Barolo e i Barbaresco che non sono prodotti da un solo vigneto o da una sola sottozona, preferendo quelli prodotti di singoli vigneti o singole zone che vengono riportati anche in etichetta grazie a Menzioni geografiche aggiuntive (ben 181 per il Barolo e 66 per il Barbaresco quelle approvate dal nuovo Disciplinare del 2010). Ma secondo il titolare dell’azienda, Pio Boffa: “Sin dalle loro origini, nell’800, i Barolo e i Barbaresco venivano prodotti con uve nebbiolo provenienti da più vigneti con caratteristiche diverse che volevano valorizzare l’insieme dei terroirs di ciascuna zona: di quei nomi erano orgogliosi di fregiarsi”. E mentre il dibattito resta aperto, su La Stampa intervengono anche il curatore di Slow Wine Giarcarlo Gariglio secondo cui “L’appellativo ‘base’ è un nome brutto e scorretto, che non riconosce la storia di questi vini” e Paolo Massobrio, che scrive: “E’ una battaglia di retroguardia superata dall’uso comune. (…) Una protesta etichettata, che funziona, giacche il riferimento rimane un brand aziendale, affidabile e riconoscibile. Che comunque non intaccherà il vocabolario del volgo, almeno finché i produttori, al di là dell’ufficialità legislativa, inizieranno verbalmente a chiamarlo ‘classico’. E allora, fra una decina d’anni, qualcuno si sentirà inappropriato se pronuncia il nome “base”. così è se ci piace!”. (La Stampa) @ Ma di vino Paolo Massobrio scrive anche su Avvenire, dove commenta il disegno di legge che intende portare nelle scuole la storia e la civiltà del vino come insegnamento obbligatorio. “Se la strada scelta è quella dell’educazione - scrive - ben venga. Il vino è una metafora della vita, che traccia un limite: l’abuso è deleterio, mentre la misura può addirittura portare benefici”. @ I vini in cui scorre Sangiovese hanno sangue meridionale. E’ il risultato di una serie di studi confluiti nel lavoro della ricercatrice Marica Gasparro, che evidenziano come il Sangiovese, selezionato e coltivato nel Sud Italia sia approdato in Toscana per diventare uno dei vitigni italiani più diffusi. Ma la ricerca, analizzando la collezione di germoplasma viticolo, ha individuato anche i due genitori putativi del Sangiovese: il Ciliegiolo e il Negrodolce, che nell’Ottocento occupava un terzo dell’agricoltura salentina. (Italia Oggi) @ Una Barbera ancora più caratterizzata territorialmente grazie all’utilizzo di lieviti autoctoni. Saranno presentati domani al Polo Universitario di Asti i risultati del progetto WildWine, che ha coinvolto un team di ricercatori del DISAFA, Dipartimento Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, che ha individuato i ceppi dal miglior potenziale enologico. Ora dopo quattro anni di lavoro si giunge a confrontare i vini ottenuti dai due lieviti utilizzati in vinificazione, per stabilire quale sarà commercializzato da L’Enotecnica di Nizza Monferrato, anch’essa partner del progetto.