E’ home restaurant mania. Il fenomeno nato a New York qualche anno fa, ha trovato terreno fertile proprio a Milano e nelle altre grandi città e ora anche il big tra le piattaforme di ospitalità on line, Airbnb, sembra pronto a lanciare una piattafora dedicata. Il format è semplice: menù e giornata on line con possibilità di iscrizione. I convitati scoprono all’ultimo l’indirizzo esatto a cui presentarsi. Poi pagano una quota (di solito sui 30 euro) e mangiano (e bevono). Il tutto senza nemmeno bisogno di una partita Iva (in quanto attività occasionale tra i privati). Ma i ristoratori professionisti protestano, perché non è proprio così che funziona. (E perché loro dovrebbero pagare le tasse e per giunta combattere contro ogni genere di concorrenza? Siamo alla Uber della ristorazione) “Ben diversa l’attività delle cuoche a domicilio - spiega Cristina Giacomelli, che gestisce anche il sito Boccon del prete - in questo caso si tratta di un professinista (con Partita Iva) che viene a casa e cucina con gli strumenti del cliente”. I costi variano, dai 30 ai 60 euro, per una tipologia di cucina più simile al comford food che a quella del ristorante. “Per questo non può esserci concorrenza - spiega Cristina - io conosco le tecniche ma non ho a disposizione gli strumenti che ha un ristorante. La gente ci chiama per altri motivi: per godersi a casa propria una serata con gli amici o perché magari vuole mangiare in ciabatte nel proprio salotto, non per una questione di prezzo”.