La storia dell'agricoltura italiana è innervata di cooperativismo, da nord a sud, tanto nel mondo del vino quanto in quello dell'agroalimentare. Anzi, spesso l'unirsi in cooperative è stato fondamentale per salvare mestieri e tradizioni che altrimenti sarebbero andate perse. La pastorizia transumante non fa eccezione, soprattutto in territori come la campagna calabrese che nel Novecento hanno assistito a un progressivo spopolamento con la migrazione di giovani e intere famiglie nel nord Italia e oltreconfine. Esistono per fortuna delle eccezioni a questa progressiva perdita di potenzialità e memoria capaci di fare scuola come l'APOCC, la Cooperativa degli allevatori calabresi, che anche recentemente ha varato il marchio Calabrialleva per valorizzare ancor di più una storia e una produzione dai forti tratti identitari.
La storia è quella del
pecorino crotonese, un pecorino dolce che veniva esportato sulle tavole dei Borboni ma, soprattutto, un formaggio in cui si riconoscevano i tanti Calabresi emigrati nel mondo. Un formaggio dal buon valore commerciale che infatti faceva gola a diversi produttori, spesso fuori zona, abili a utilizzare la dicitura “tipo crotonese” per evocare una storia, banalizzandone però una delle principali peculiarità, cioè la materia prima con cui era prodotto.
L'APOCC quindi, inizialmente nata come semplice associazione per raccogliere il latte da vendere ai caseifici, si trovò investita del compito di difendere un patrimonio lavorando a un riconoscimento – la DOP – arrivato negli anni Duemila.
Oggi il Pecorino Crotonese è un formaggio che esiste in
tre diverse tipologie cioè
fresco, semiduro e stagionato, e si differenzia dagli altri pecorini proprio per questa dolcezza derivante da un mix di materia prima e lavorazione.
Il latte infatti viene ottenuto da pecore allevate allo stato semibrado che si nutrono al pascolo o di foraggi aziendali e tra le varie essenze spicca proprio la sulla che dona questa dolcezza. Poi in fase di lavorazione, dopo una decina di giorni di stagionatura, si usa levare il sale in eccesso che così viene assorbito solo in parte dal prodotto. Il risultato quindi è un prodotto che oltre a questa morbidezza al palato si dimostra elastico al taglio, umido, succulento. Caratteristiche che emergono nella versione più fresca, ma che è possibile riscontrare anche nelle tipologie più stagionate quando la crosta particolarmente spessa funge quasi da barriera proteggendo l'interno del formaggio, che non si asciuga né si sfalda alla prova del taglio.
Altrettanto curioso un prodotto, pluripremiato, come la
ricotta crotonese che, nonostante sia tuttora priva di riconoscimento europeo, può vantare una storia altrettanto secolare e particolarità legate alla lavorazione che sopravvivono tuttora come l'affumicatura effettuata, dopo circa una settimana di stagionatura, attraverso il legno di potatura di ulivo e arancio che conferiscono l'aroma che la caratterizza. Una ricotta anche in questo caso più dolce rispetto alle altre ricotte salate grazie proprio alla materia prima che ha la sua origine nei pascoli del Marchesato Crotonese. Quel latte capace di stimolare come una madelaine la memoria degli emigrati calabresi nel mondo.
Calabrialleva
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