È probabilmente lo chef vegetariano più famoso d'Italia, autore di libri, chef Ambassador di Expo Milano 2015, il suo ristorante di alta cucina naturale Joia, a Milano (via Panfilo Castaldi, 18 - tel. 0229522124) aperto dal 1989 riscuote da sempre un grande successo di pubblico e critica e ha meritato la corona radiosa sul taccuino Gatti Massobrio.
Stiamo parlando ovviamente di Pietro Leemann (nato a Locarno nel 1961), vegetariano convinto da lunga data ed esperto conoscitore della cultura alimentare orientale. A lui abbiamo pensato di fare qualche domanda, in questo tempo di Quaresima in cui la rinuncia alla carne è un tema che si ripropone anche agli Occidentali onnivori...
La rinuncia alla carne per un cristiano è un gesto di purificazione da compiersi in determinati periodi dell'anno; nella cultura orientale invece come quella Ayurvedica, di cui lei è appassionato cultore, una regola di vita fondamentale, tanto che ha scritto: "Siamo ciò che mangiamo e diventiamo ciò che scegliamo di mangiare".
Inizio col dirle che il vegetarianesimo è una scelta di vita cui si arriva dopo un percorso individuale; una regola che una persona deve darsi in piena libertà, perché è destinata a cambiare la persona stessa e la sua vita. Per me è stato così: per tante ragioni che vanno dalla salute alla coerenza etica e intellettuale, mi sono trasformato nella mia vita da onnivoro a vegetariano e sono diventato una persona diversa da quello che ero prima. Ma ha funzionato bene perché è stata una scelta non un'imposizione, di questo sono così convinto che non ho imposto alle mie figlie di essere vegetariane. Da piccole le ho nutrite ovviamente come tali, ma quando hanno iniziato a poter scegliere ho lasciato che sperimentassero la dieta onnivora. In quest'ottica non farei tante differenze tra Oriente e Occidente, le religioni orientali sono molto favorevoli alla scelta vegetariana, ma anche nel Cristianesimo delle origini c'erano diverse correnti di vegetarianesimo.
Cosa significa essere un cuoco vegetariano in Occidente?
Per me è una missione. Come avrà capito, penso che il cibo sia una cosa molto importante nella nostra vita, quindi penso che il lavoro del cuoco sia una grande responsabilità. Assumendomi questa responsabilità sento il dovere morale di portare il mio ospite/interlocutore verso una cultura più sana e un mondo con meno violenza, ma non significa che voglio fare proselitismo: il centro è nella proposta che faccio al mio ospite, una proposta di piatti giocosa e colorata che lo faccia stare bene e lo spinga a riflettere su quello che mangia, a chiedersi se quello che mangia corrisponde fino in fondo a lui come persona, alle sue esigenze, al mondo come lo vorrebbe. Dalla risposta che darà a questa domanda può partire una scelta alimentare consapevole.
Quali sono le resistenze che ha incontrato in questa missione?
Naturalmente le resistenze nascono dai pregiudizi che si hanno nei confronti della cucina vegetariana. Il cliente onnivoro che entra nel mio ristorante pretende di più da me che da un altro cuoco, per essere soddisfatto, soprattutto se entra pensando che la cucina vegetariana sia una cucina punitiva e magari teme di uscire con la “pancia vuota”. A questa persona cerco di dimostrare che la cucina vegetariana può essere piacere, gusto e soddisfazione, ma c'è di più... si impara un nuovo modo di gustare il cibo.
Vuole dire che vegetariani e onnivori gustano in modi diversi?
Diciamo che le persone onnivore, quando degustano, hanno in mente la succulenza, ovvero quella particolare combinazione di consistenza e grasso tipica della carne, mentre i vegetariani imparano ad apprezzare meglio la fragranza, la freschezza e il gusto vero e proprio che viene dal mondo vegetale (non per niente la carne è cotta con aromi vegetali per avere più sapore).
A proposito di gusto, ci piacerebbe sapere come nascono le idee dei suoi piatti.
Anche i miei piatti sono frutto di un percorso culturale e di un'idea da comunicare. Lo dichiarano i nomi stessi: l'"Ombelico del mondo", dalla celebre canzone di Jovanotti, è un risotto mantecato all'orientale con varie spezie, spicchio di carciofo e riso Venere energicamente arrostiti; "Un indovino mi disse" è un'idea nata dal libro di Tiziano Terzani ed è un formaggio di soia brasato con shitaké, scorzonera dolce e rafano, tortino di radicchio tardivo verza, emulsione di topinambur e ginepro. Prima nasce l'idea poi cerco gli ingredienti per comunicarla. Ad esempio, nella "Vita in forma", io volevo restituire l'idea dell'uovo, anche se non uso uova nella mia cucina, come forma perfetta e iniziale che la vita assume. Così ho deciso di preparare questo finto uovo vegetale in cui gli ingredienti cambiano ad ogni stagione, in questo periodo è fatto con barbabietola biodinamica, terrina di romanesco e broccoletti, salsa alla francese di castagne, nocciole e zafferano. Un altro esempio è "Sotto una coltre colorata", un piatto in cui ho cercato di restituire al mio ospite le sensazioni che provo quando passeggio nel bosco che c'è oltre il fiume davanti a casa mia. È un luogo che cambia ad ogni stagione e avvolge la persona in tutti i suoi sensi: luci, ombre, colori, profumi, consistenze, scricchiolii di foglie...ho cercato di restituire tutte queste sensazioni creando strati leggeri di ingredienti come pesto di sedano verde, cuore di zucca e e pepe, pastinaca, cubi di ricotta delicatamente affumicata, salvia croccante, melgorano ecc. Questo forse può far capire che anche se le mie preparazioni nascono spesso da una riflessione filosofica e dietro c'è una ricerca attenta di ingredienti naturali, di stagione e a km0: alcuni ingredienti li produciamo direttamente noi a Cascina Caremma a Besate (splendida azienda agrituristica recensita sul GattiMassobrio. Ndr) il risultato che voglio ottenere deve essere allegro e colorato e deve farci tornare un po' bambini (alcuni piatti si mangiano con le mani) e darci la voglia giocare, che è il modo migliore di aprirsi alle nuove esperienze.