Dark Kitchen, Cloud Kitchen, Ghost Kitchen, Commissary Kitchen, poi Deliveroo, JustEat, Glovo e Uber Eats… È tutto bello. Razionale, pianificato, digitale, virtuale. Ma solo a me capita che, chiudendo gli occhi, le immagini che mi scorrono nella mente non sono quelle di un corriere trafelato che procede zigzagando a bordo di uno scooter lungo i viali anonimi di una metropoli?
Io assaporo l’immagine di un fondovalle, dove ai margini di un bosco di faggi appare un ristoro all’interno di uno chalet di legno. O la sorpresa, al termine dell’ennesimo tornante appenninico, di scorgere improvvisamente la sagoma di una antica casa colonica bianca, al di fuori della quale è esposta una lavagna nera con scritto il menu del giorno? E ancora, dopo una lunga passeggiata sulla spiaggia deserta, salire gli scalini per raggiungere un trabocco dove alcuni uomini si stanno prodigando per tirare su le reti con il pescato fresco?
Ebbene sì.
Forse non tutti oggi se lo ricordano, ma c’è anche una
ristorazione da “Resistenza Umana”. Viva. Genuina. Autentica. Fino a ieri. Dislocata lontano dalle vie principali di comunicazione. Distante 10, 20 o forse più km dal primo centro abitato. Che poi, probabilmente, è costituito da 4 o 5 abitazioni in pietra o in tufo. Una ristorazione sulla quale si appoggia quasi sempre un’intera famiglia. Con l’orto dietro la cucina. La stalla con le vacche da mungere quotidianamente a 50 metri dall’ingresso; e, poco più in là, la vigna a dimora sui terrazzamenti sottratti al bosco o alla nuda roccia.
Una ristorazione che al mattino alza gli occhi al cielo per osservare se il sole, il vento o la pioggia impedirà loro di raccogliere le verdure e gli ortaggi nell’orto, e le mele e le pesche dal frutteto; e per alcuni, addirittura, di condurre i bovini al pascolo o di uscire in mare aperto con la barca carica di reti e di speranza. E soprattutto con il sorriso e con quel modo di fare garbato, dai toni bassi, ma schietto e sincero, che hanno gli uomini e le donne che vivono in certi angoli quasi dimenticati del nostro Paese.
Certo, hanno probabilmente incantevoli spazi all’aria aperta dove far accomodare i clienti. E i tavoli sono già distanziati tra loro. Non preoccupatevi. Perché qui i numeri sono regolati dai cicli produttivi stagionali di una filiera che per loro è un
modus vivendi. E non una pratica da imparare sui libri. E oggi sono fermi. Drammaticamente fermi. Come tutti. Direte voi. Ma, a differenza dei loro colleghi “urbani", non possono, ad esempio, effettuare il servizio di
delivery. Chi percorrerebbe 20 o 30 km per fare una sola consegna? E nemmeno possono affidarsi alle piattaforme di servizi di consegna più gettonate. Per il medesimo motivo.
E se dopo lo choc della data del 1° giugno per la riaperture delle attività ristorative, va da sé che i locali cittadini, con le dovute cautele logistiche e sanitarie, potranno iniziare nuovamente ad accogliere i clienti, per i locali eroici l’attesa è ancora lunga, visti i provvedimenti sugli spostamenti extraregionali.
Lo
chalet di montagna, l’
agriturismo sul fondovalle, la
trattoria nel bosco e il
trabocco sul mare che faranno? Il loro cliente medio non è un abitante del luogo. È un forestiero. Quasi sempre di una regione limitrofa. In gita o con la seconda casa nello stesso luogo. O un turista. Spesso straniero. E la frutta e la verdura sulle piante e nell’orto non possono attendere il 2021 per essere raccolte. Marciscono, mentre le vacche sono da mungere ogni mattina. E anche da nutrire. E a quel punto, che ci sia il sole o la pioggia, conta davvero poco. Antonio, Giovanni, Luigi, Anna, Francesca... avranno ora lo sguardo basso, non più rivolto al cielo. Magari verso quel viottolo di campagna o di montagna, dal quale l’anno precedente arrivavano famiglie e comitive a vivere un’esperienza. La loro. Non sola fatta di fornelli, ma anche di sudore nell’orto e nella stalla. Nel bosco o nella radura. Di gelide albe invernali che li trovavano impegnati a tagliare la legna per il camino. O a riparare le reti per la pesca.
Forse la mia è semplice poesia. Un insieme di pensieri degli ultimi vent’anni di viaggi percorsi in auto e in moto. E di ricordi legati a paesaggi del nostro Paese unici al mondo dove, tra un ponticello da attraversare, un prato da percorrere, un ripido sentiero di ghiaia e di terra sul quale avanzare lentamente, avevi una certezza. Quella dell’accoglienza, dell'ospitalità, degli aromi che fuoriuscivano dalle cucine, del sorriso degli osti.
Chi li difende gli ultimi degli ultimi del lockdown?