Tra i più grandi vini bianchi del mondo, uno è italiano. È il Timorasso. Sembra una favola, ma è realtà. Vitigno autoctono a bacca bianca coltivato nel comprensorio del Tortonese sin dal Medioevo, nella seconda metà del secolo scorso ha rischiato l’oblio, in quanto gli venivano preferite uve più vigorose.
Una trentina di anni fa, cinque aziende, non ci stanno, e con coraggio decidono di tentarne il recupero. Come è andata è presto detto. Il brutto anatroccolo è diventato cigno. E la sua affermazione, repentina quanto meritata, in pochi decenni ha detto una verità che oggi nessuno discute. È eccellenza di caratura internazionale.
Nel quintetto di pionieri che diedero il via al suo rinascimento, Elisa Semino, da tutti considerata The Queen di questo nobile vitigno, alla guida con il padre Piercarlo e il fratello Lorenzo de La Colombera, azienda agricola che trovate a Vho, frazione in collina di Tortona. Al via nel 1937 con i bisnonni Maria e Pietro, l’avventura della famiglia oggi prosegue con coltivazione di ceci e grano e dei frutteti di peschi, ciliegi e albicocche. Da oltre sessant’anni, ruolo importante della vita aziendale, la coltivazione della vite, protagoniste Barbera, Croatina, Cortese e Nibiö. Considerando le caratteristiche della terra (geologicamente antica e costituita dai sassi bianchi del Tortoniano), Elisa nel 1997 ha realizzato il primo impianto di Timorasso.
L’inizio di un cammino da cui son nati
Derthona (già nostro Top Hundred) e
Montino, il vino di riferimento della cantina, con le uve che provengono da un vigneto particolarmente vocato, un vero cru.
Quando si assaggia, esperti e appassionati evocano similitudini con Riesling o nobili bianchi di Borgogna. La verità è che il Timorasso ha una unicità sua, che non lo fa assomigliare a nessuno. In particolare, in questi giorni abbiamo avuto l’occasione di fare una degustazione verticale, che ha detto di due sue ulteriori caratteristiche uniche. La struttura e la longevità.
Nel percorso guidato a quattro mani da Elisa Semino e Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del Bere, nei bicchieri le espressioni di sei annate.
La
2021, annata calda ma partita con buona riserva idrica, che al naso si propone con profumi di frutta a polpa gialla, e in particolare di mela cotogna, guizzi balsamici, sentori di erbe aromatiche, con il sorso di grande struttura sostenuto da acidità citrina e notevole lunghezza.
La
2020, annata molto calda, che ha profumi di mela gialla, zucchero filato, sentori di zafferano e spezie e ancora di marmellata di arance.
Il millesimo
2019, figlio di un’annata regolare, ha note verdi e agrumate, balsamicità, sbuffi floreali, e ricordo di mela verde croccante, con una beva dinamica e snella.
L’espressione del
2017, racconta dell’evento che ha condizionato l’anno, una gelata che ha ridotto del 30% la produzione. Ed è icona di come il Timorasso sia “rosso travestito da bianco” per il suo corredo aromatico che va dai frutti di bosco alle note fresche e citrine, con un suo proporsi a due anime, diviso tra concentrazione e tipica freschezza.
E se la
2015 è il bicchiere più equilibrato, con le sue note di fiori di acacia, pesca e zucchero filato e sapidità al palato.
Sul gradino più alto del podio sale il
2013, clamorosa conferma di come il tempo sia prezioso per questo bianco di classe. Di grande intensità aromatica, ha profumi di frutta gialla e frutti di bosco, note di erbe aromatiche e camomilla, sontuosa speziatura e di idrocarburi, mentre al palato è setoso, di eleganza rara, disteso, con un finale lunghissimo. Il Timorasso è un bianco di caratura internazionale!