Reportage da Srebrenica

Questo articolo è stato scritto da Motoko dopo il suo viaggio di sette giorni, iniziato l’8 marzo, con Gianni Rigoni Stern. Li abbiamo salutati a Brescia, alla Cena in ComPagnia del Club locale, poi siamo andati insieme fino a Bassano del Grappa. Con questo viaggio, Motoko e Gianni hanno portato un po’ anche le oltre 500 persone che si sono ritrovate a cena, per sostenere questo progetto.

24.03.2016

"Non fare questo viaggio d'estate, mi avevano detto.

Per capire le trincee ci vogliono il freddo, l'inverno e la neve".

Paolo Rumiz da “L’albero tra le trincee”

 

Cik ciak, cikecikeciak … passo dopo passo scendevamo giù dal pendio ricoperto di pantano vischioso e spessissimo.  Avevo deriso Gianni Rigoni Stern che l’aveva scampata per un pelo dal finire nel fango, ma avevo perso anch’io l’equilibrio; così era toccato a lui ridere di me. Tirava ogni tanto qualche folata di vento, leggero ma gelido, da cui cercavo di ripararmi incassando la testa nelle spalle. Ci trovavamo davanti alla porta della stalla di Jusuf in un angolo dimenticato della valle di Srebrenica. Di fronte a noi si intravedevano i boschi rinselvatichiti fra gli squarci della nebbia.  Quando la famiglia di Jusuf aveva cominciato a vivere in quel posto, dopo il genocidio, la zona era rimasta senza energia elettrica per 3 anni. Anche la stalla era stata costruita in condizioni di estrema inadeguatezza, figuriamoci se avevano potuto sistemare lo scarico delle acque all’esterno! Tuttavia, entrando nella sua stalla, ci accolsero gli occhioni  lucidi e ingenui di due vitellini neonati.
“Sembrano sani. Sono femmine? Bene, sono contento.” Gianni aveva il solito tono neutro e pacato ma non riusciva a nascondere il suo affetto per quella gente e la sua soddisfazione. Così, con un caldo sorriso, inserì con cura nei suoi papiri il giorno della nascita dei vitellini e il numero del sigillo che la vacca aveva sull’orecchio per riconoscere la maternità, il suo stato di salute. Poi uscimmo dalla stalla. Per i miei occhi, ormai abituati al buio, il bianco purissimo dei fiori del pruno fu quasi abbagliante.
“Loro hanno una famiglia numerosa. Potresti dargli qualcosa in più dei regali portati dal Giappone?”. Me l’aveva sussurrato all’orecchio.

Sono passati 6 anni da quando Gianni Rigoni Stern ha iniziato ad andare avanti e indietro tra Asiago e la Bosnia per portare avanti il suo progetto umanitario della “Transumanza della Pace” destinato ad aiutare i sopravvissuti al massacro di Srebrenica. Da quando ha cominciato a sognare di portare qui le 137 vacche da latte di razza Rendena, con l’aiuto finanziario della Provincia di Trento, fino a questo nostro viaggio, sono 39 le volte che è tornato quaggiù.  E quasi sempre, ad ogni ritorno, visita tutte le 70  aziende che hanno beneficiato della donazione per controllare le condizioni degli animali e dare consigli agli allevatori. Non è stato facile e ancora non lo è, però il numero dei capi è aumentato pian piano fino a più di 170 e questo ha portato all’economia familiare degli allevatori qualche positivo cambiamento.

Con l’aiuto di Gianni è iniziata la loro attività di allevamento un po’ disordinato perché ciascuna azienda ha avuto la sua crescita in condizioni ambientali e sociali  diverse. Qualcuna ha così incrementato il numero dei capi e dovrebbe far ingrandire la stalla, ma ci sono anche quelle che, per qualche problema di salute delle vacche o per la sfortuna di non aver avuto vitelli femmine, sono rimaste così com’erano. Anche i problemi e le necessità sono tutti diversissimi: “Si è consumata la falce ma non so dove andare ad acquistarne una nuova”, “Si è rotta la mungitrice e, alla mia età, faccio fatica a mungere a mano”, “Sta per partorire un’altra vacca dopo tanto tempo ma, nella mia piccola stalla, non c’è spazio per il vitellino e dovrò venderlo per forza.”   
Dopo i 20 anni dal massacro ormai possono pensare al benessere di domani, piuttosto che alla sopravvivenza di oggi; i loro interessi sono concentrati sulla meccanizzazione del lavoro nei campi e sull’incremento dei numeri di capi piuttosto che sulla comodità nella vita quotidiana. E vedo nei loro occhi una sete tremenda che qui non abbiamo più. Gianni ascolta queste persone con attenzione e spiega loro con molta pazienza l’evolversi del progetto. In questo viaggio anche la sua figlia primogenita, Ilaria l’ha accompagnato per la prima volta. “Io che lo conosco so che, a casa, non è sempre così paziente, qualsiasi cosa succeda...” Si stupisce di fronte alla faccia di suo padre, molto diversa da quella che è abituata a vedere in famiglia. Io ed Ilaria seguivamo con grande attenzione Gianni in tutto quello che faceva; lui pareva sempre assorto e concentrato sul suo lavoro ma sapeva, ogni tanto, sorprenderci fermandosi d’un tratto per dire cose tipo: “Avete sentito il canto di quell’uccellino? Manca poco all’arrivo della primavera.” I suoi occhi, sotto le sopracciglia ben disegnate, stavano guardando lontano, oltre il verde bagnato dalla pioggerella fredda.

All’avvio del progetto “Transumanza della Pace”, che ha donato queste vacche di razza Rendena ai sopravvissuti del genocidio di Srebrenica, Gianni aveva 3 obbiettivi: migliorare per quanto possibile il tenore di vita della gente, salvaguardare l’ambiente ritornando a curare prati e pascoli, aiutare quelli che  erano sopravissuti a unire le forze  per ricostruire una società civile. L’uomo, nato sull’Altopiano d’Asiago (uno dei campi di battaglia più tremendi durante la Prima  Guerra Mondiale, dove persero la vita decine di migliaia di persone), dopo aver lavorato come agronomo-forestale per più di 30 anni per gli allevatori di vacche negli alpeggi delle sue montagne, arrivato alla pensione, aveva sognato di far tornare verde e pacifica questa disperata valle di Srebrenica.
Organizzò i corsi di allevamento, scelse le persone che avevano dimostrato più comprensione e più passione e, dopo aver consegnato le vacche, continua a fare il controllo della situazione e a dare loro assistenza. Finora le spese dei viaggi e il costo dell’interprete sono state pagate da lui personalmente perché il sostegno economico raccolto girando tutta l’Italia, da nord a sud, l’ha voluto portare in mano ai Bosniaci, fino all’ultimo centesimo per l’acquisto di attrezzature agricole.
Ad esempio con la raccolta fatta nelle serate della “Cena in Compagnia” del Club di Papillon dell’anno scorso sono stati acquistati un trattore e un rimorchio per la gente di Sucéska e vengono utilizzati da diverse famiglie.

“Guarda come sono tenute queste mucche! Ci sono delle stalle che tengono gli animali così!” Gianni me l’ha detto con orgoglio di padre. Successe al mattino del terzo giorno. Entrando in una stalla, avevo visto la paglia messa in ordine sul pavimento, tutta ben asciutta e le vacche senza neanche la minima ombra di sporcizia. Le loro mammelle erano quasi brillanti, come se fossero state lucidate e la fossa era stata completamente lavata, come un lavandino della cucina. La loro pulizia mi aveva stupito! Gianni ha battezzato questa azienda, proprietà di due fratelli di Mišići, “Dal Mèstro” per il fatto che uno di loro fa il maestro di scuola.  
“Ma attenzione, Motoko, il merito è tutto delle mogli, eh!” aveva il sorriso da birichino ma, subito dopo, gli era tornata l’espressione seria per dire: “Un’azienda come la vostra deve aumentare il numero delle vacche. O acquistate una vacca Rendena quando sarà messa in vendita o, altrimenti, va bene anche una pezzata rossa; dovete aumentare la produzione di latte.”  
E poi, dando una sbirciata alla moglie del “Méstro”, aggiunse con tono scherzoso: “…ma forse la signora non è tanto contenta.” La moglie, guardando basso, rispose timidamente che non aveva tempo in più da poter dedicare alle vacche.  
“Pur lasciando anche un po’ sporche le vacche, forse sarebbe meglio aumentare la produzione di latte.”
Allora la signora alzò finalmente la testa e disse con chiarezza “Io ho avuto quest’educazione da mia madre. Se trovava le vacche sporche, mi rimproverava severamente.”
“Sai, quando succedono queste cose, sono spinto ad andare avanti.…Ecco per queste persone.”
“Ma Gianni perché ti sacrifichi così per loro?”
“Sacrificarsi… è una tradizione di famiglia.”

Al suo settimo anno questo progetto si trova di fronte al momento dell’obbligatorio salto di qualità, prevedendo la costruzione di un caseificio. Per questo bisogna rinforzare il sistema di raccolta del latte, sia qualitativamente che quantitativamente, utilizzando vasche refrigeranti. Il principale problema da affrontare urgentemente per Gianni è mettere assieme aziende diverse  per produzione e per localizzazione in un territorio vasto e di difficile viabilità,  combattere con il carattere chiuso e la diffidenza tipica di questi montanari usciti da una guerra civile tremenda.
Questa è la storia di un uomo di montagna, robusto, di poche parole, che fa del bene agli altri con pudore senza pretendere nulla da nessuno. L’unico piccolo favore che ha chiesto agli allevatori durante questo viaggio è stato di dare a due femmine neonate di Rendena il nome delle sue due figlie, Ilaria e Verena. La storia va avanti…

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