I vini dei Genagricola: dal Piemonte al Friuli

Un giro nel Nord Italia, con espressioni diverse e originali dei migliori vitigni che si possano immaginare

27.05.2020

Un assaggio così, coi vini più rappresentativi del gruppo Genagricola non mi era mai capitato. Ora, conoscevo sia la cantina piemontese sia quella friulana (in questi mesi ho aperto anche qualche bottiglia d’antan di Terre Rosazza), ma non conoscevo quella Veronese, se non dopo la mia degustazione alla cieca di quest’anno, dove l’Amarone 2016 Tenuta Ardente è salito fra i campioni più interessanti di tutti i 54.
Caso vuole (e io non lo sapevo) che mentre entro nella sala di degustazione mi venga incontro Riccardo Cotarella che mi saluta e mi presenta Igor Boccardo, amministratore delegato di Genagricola, di cui Cotarella è enologo.

Detto questo, eccomi ora all’assaggio con cinque Bianchi tipici friulani (doc Friuli Colli Orientali) di Torre Rosazza di Manzano.
E se primo assaggio non si scorda mai, eccomi subito appagato con il Pinot Bianco 2019. Colore paglierino classico, note di frutta fresca; in bocca una stoffa resistente e filigranosa, con un finale sapido. Ottimo vino. Anche se il Pinot Grigio 2019 è stato super: senti la pera intensa che emerge da un paglierino con sfumature più cupe. Molto fine al naso, ha le medesime premesse del precedente, ma qui c’è anche la frutta vellutata e un finale acidulo, fresco, pieno. 
La Ribolla 2019 ha colore giallo brillante e note che ricordano l’ananas. E sono evidenti i frutti tropicali. Lo svolgimento in bocca è di un gran bell’equilibrio, con un finale asciutto che chiude una nota di freschezza. 
Nel Friulano 2019 il colore è più concentrato con note speziate al naso e un fiore particolare (un ibisco?), dove si evidenzia il verde. In bocca è pieno e molto equilibrato, secco sul finale con una nota di mela caramellata.
Il Sauvignon 2019 ha il profumo elegante di salvia e rosmarino. In bocca è fresco e cerca un suo equilibrio e la sua intrinseca finezza. 

Passiamo quindi ai rossi. A cominciare da un vino che ai miei tempi (ora si dice così…) era un mito: Altromerlot 2016. Questo era il suo nome e credo che Riccardo Cotarella ci sia andato a nozze, essendo l’enologo che più ha creduto in quel vitigno. Conosciamolo allora: ha un colore rubino concentrato, con note di more e piccoli frutti e anche sentori balsamici particolari. È sempre lui, ho appuntato sul mio taccuino. Ma in verità mi colpisce la persistenza dei profumi che sono un invito a conoscere un merlot tutt’altro che scontato, che non ha sembianze “piacione” come ci si aspetterebbe, ma un carattere anche ruvido, se vogliano, delle terre da cui nasce. Mi è piaciuta questa sincerità e anche quei tannini levigati che sostengono un vino che si evolverà, in eleganza, negli anni a venire. Però quando il sorso sparisce dalla bocca rimane quell’alveo aromatico di frutta che resta inconfondibile.  
Il secondo rosso, sempre della doc Friuli Colli Orientali, è il Pinot Nero “Ronco del Palazzo” 2015. Ha un colore rubino trasparente, ma decisamente consistente. Al naso avverti subito finezza con una leggera nota di grafite e l’immancabile pepe. In sottofondo c’è anche un che di balsamico; in bocca equilibrio e un’acidità espressiva sul finale; ma qui la finezza ce l’hanno i tannini. Che dire? Non è una bestia facile da domare il pinot nero, e l’enologo lo sa. Bisogna aver pazienza.
Dal Friuli eccoci dunque a casa nostra, il Piemonte, con la cantina Bricco dei Guazzi di Olivola.  Assaggio la Barbera d’Asti 2017 e mentre la porto al naso la sento generosa di frutta rossa, con una spinta alcolica speciale. In bocca è filologica, di espressione calda e avvolgente, naturalmente fresca. Ma che grande vino è la Barbera! 
Il Monferrato rosso “la Presidenta” 2017 è un uvaggio di merlot e barbera che ha una spinta aromatica importante, al naso. In bocca vince la rotondità dove la Barbera sembra offrire un modesto contributo di freschezza, per un vino che in questa versione si, è piacione. 
Sorpresa, invece per l’Albarossa 2017, davvero notevole. Al naso si evidenzia con la mandorla e la mora di gelso, con un tratto davvero caratteristico all’olfatto. In bocca è notevole, davvero eccezionale come interpretazione: velluto, eleganza, mineralità e tannini che rincorrono l’acidità in una nota molto lunga e persistente. Mi è piaciuto molto. 
E infine eccoci in Valpolicella, nella Tenuta Arente che sta in Valpantena. Il primo vino dei miei assaggi è dunque un Valpolicella Valpantena 2018. Ha colore rubino trasparente, al naso chiede tempo prima di aprirsi ad una freschezza fruttata dove emerge il prugnolo. In bocca è semplicemente equilibrato. 
Il Valpolicella Ripasso ti offre subito la frutta secca e poi una nota che ricorda il vermuth, mix di alcol e di rabarbaro. Davvero particolare il naso. In bocca c’è un equilibrio assai gradevole e anche i recalcitranti come il sottoscritto verso il Ripasso, devono riconoscere che ci siamo: molto meglio del Valpolicella. 
E infine ecco l’Amarone 2015, dopo la premessa che il 2016, ai nostri palati, avrebbe già scalato le vette dei migliori. Qui al naso c’è soprattutto confettura ampia e avvolgente e note di noci. Ha un naso molto profondo e originale, generoso e con note quasi dolci, caramellate. Che bel naso questo Amarone! In bocca ti avvolge come un abbraccio caldo, e in fondo esprime la sua anima tannica ben levigata. Ma vi trovi anche espressioni di freschezza. Un bel tuffo in questa parte emergente della doc Valpolicella, dove abbiamo già individuato un poker d’assi.
Alla fine abbiamo fatto un giro nel Nord Italia, con espressioni diverse e originali dei migliori vitigni che si possano immaginare. E questo è il mondo di Genagricola.

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