In un'Italia che perde ettari di vigneto, una realtà che dal 1142 cura la vigna come baluardo di civiltà
Dal 2000 al 2013 la “vigna” italiana ha perso 200 mila ettari. Da quasi 800 mila ettari (nel 2000) si è passati agli attuali 640 mila ettari. Nella classifica europea, la Spagna è leader con 951 mila ettari, segue la Francia con 755 mila ettari, l’Italia è terza. I motivi? Secondo il professor Attilio Scienza: «Non si rinnova», e la causa sta non solo nel «progressivo invecchiamento dei vigneti, ma anche dei proprietari, che spesso vanno in pensione e abbandonano tutto, con i giovani che non vogliono entrare in questo settore».
Il dato tuttavia non riguarda nord e sud allo stesso modo. Non tutte le regioni hanno diminuito la superficie. Alcun territori, in controtendenza, fanno registrare un aumento di terreni coltivati. Fra questi, Trentino, Veneto, Friuli Venezia Giulia e l’Alto Adige. Ed è proprio in provincia di Bolzano, a Varna, che opera una realtà plurisecolare, che rappresenta come nessun'altra, la lungimiranza del sapere che la vite non è semplice realtà agricola né il vino "prodotto" come altri, ma cultura, attività e frutto del lavoro dell'uomo con cui mantenersi, certo, e quindi economia, ma soprattutto civiltà. È l'abbazia di Novacella (via Abbazia 1 - tel. 0472836189), dal 1142 punto di riferimento di questa terra. Dove i monaci da secoli, e oggi più che mai, testimoniano che dove c'è la vigna c'è umanità, civiltà appunto. È segnale di barbarie che il "vigneto Italia" arretri...
Dalla cantina di questa splendida realtà escono sommi bianchi, con la linea Praepositus che vanta autentico poker d'assi, Sylvaner, Kerner, Riesling e Veltliner. Tra i rossi, meno celebrati, ma non per questo meno interessanti, oltre al Lagrein, ci ha sorpreso l'affascinante Pinot Nero, il vitigno monastico per eccellenza, meglio, Blauburgunder, per dirla alla Roberto Vivarelli, giornalista Rai a Bolzano, che da alfiere del gusto altoatesino, è solito in questo modo sottolineare la personalità particolare di questo rosso quando nasce in Alto Adige, italiano sì, e di nobiltà "borgognona", ma con un passo "teutonico" tutto suo. All'assaggio infatti sorprende per la finezza e la forza, con un colore rosso rubino scarico tipico, naso elegante con note di lampone e ciliegia, sentori di cuoio e tabacco, spezie, mentre al palato ha corpo ed equilibrio, buona freschezza, persistenza. Si abbina a primi come risotto allo zafferano o tagliatelle al ragù, tortellini in brodo, zuppa di pesce e carni bianche.