La storica trattoria milanese continua imperterrita il suo (buon) lavoro, tra risotti e piatti della tradizione
Lo confesso. Se c'è un qualcosa che noi genovesi invidiamo a Milano non è certo la nebbia, né l'assenza del mare. Forse è il fermento culturale e sociale che ha (ri)animato la città nell'ultimo lustro? In parte. C'è qualcosa di più profondo, quasi un mistero per noi che teniamo lini e vecchie lavande all'ombra dei nostri armadi. È la costoletta alla milanese. Praticamente un mondo a sé, che purtroppo non ha superato l'Appennino.
Premessa. Quando un genovese va a comprare la carne dal proprio macellaio di fiducia, sa che dovrà combattere. Chiedi al macellaio una fetta bella spessa per fare una costata, e quello, con sguardo preoccupato, ribatte “Così è troppo?” indicando col coltello uno spessore poco più ampio di un dito (in larghezza, eh, non in lunghezza). Non ce la fanno, i macellai genovesi, è più forte di loro. È come togliere carne dalla loro stessa carne. La bistecca VA tagliata a velo di sposa, altrimenti non sono contenti (ma con quello che la fanno pagare, si rifanno, tranquilli). Figurarsi chiedere una bel taglio per fare la costoletta alla milanese. Se va bene, sarà una suola, se non un'ostia. E non provate a domandare il manico, ovvero l'osso. Sareste osservati con sospetto.
Ecco perché quando il genovese incontra la costoletta, è un'epifania. Alta. Impanata come si deve. Rorida di burro (chiarificato). Succulenta. Gustosa. Opulenta. Un trionfo.
Mi è capitato l'ultima volta al Masuelli (viale umbria, 80 - tel. 0255184138 - www.masuellitrattoria.it), dove il patron “Pino” Masuelli detta i ritmi della sala, mentre il figlio Max porta avanti un compendio perfetto di milanesità e sabaudo Piemonte.
La costoletta alla milanese del Masuelli è perfetta. Costa 30 euro (prezzo che intimorisce più di un genovese). Ma è un altro mondo, e incanta per gusto e morbidezza, forma e sostanza. Il sapore gioca su tre pilastri: la morbidezza sinuosa del burro, il piacere sublime dell'impanatura fritta, la succulenza gaudente della carne. E così anche per il risotto alla milanese, servito con l'ossobuco in gremolada, altro vanto sotto la Madonnina, e specialità della casa.
Due piatti simbolo, che fanno grande questa trattoria (anche se i prezzi sono più da ristorante) nata nel 1921, dall'ambiente un po' fané (ma i due lampadari di Giò Ponti sottolineano con garbo il rango del locale), dove si sta bene per tante altre ricette. Ma solo queste due, assicurato, basterebbero per metterla nel tom tom del gusto.