Oggi è la festa del giornalismo o meglio di È Giornalismo, il premio che la famiglia Aneri ha fondato con Bocca, Montanelli e Biagi. E il premiato è Massimo Gramellini, un giornalista di razza che oggi si racconta in un dialogo sulla Stampa con Mario Calabresi. Ed è tutto da leggere questo dialogo perché offre lo spunto di un nuovo modo di fare il giornalista che non è più quello di un tempo. I social media hanno fortemente intaccato l’informazione e i quotidiani virtuosi hanno dovuto adeguarsi a questi rivoli di notizie. Però viene premiato un giornalista che è poco social e che buca lo schermo (della prima pagina del giornale nel suo caso) con la sua ironia, i suoi contenuti, che passano attraverso l’elzeviro più che l’editoriale. Il suo “Buongiorno” di ogni mattina è diventato un classico e fa opinione. E di questo bisogna dargli atto. Una delle rivoluzioni del giornalismo, ha detto Gramellini nel dialogo con Calabresi, è il tabù dell’uso dell’io, che ormai è stato infranto. E quindi ne abuso in questa sede, per raccontarvi perché questo premio istituito da un imprenditore del vino con la passione del giornalismo, in qualche modo mi coinvolge. Intanto per Massimo, che conosco da 15 anni e nel 2002 venne a Golosaria alla Cittadella Militare di Alessandria per presentare la sua prima raccolta in un libro dei suoi “Buongiorno” pubblicati ogni dì sulla Stampa. Poi Massimo fece la prefazione del mio primo libro sul vino, il Buon Bere, e per dirvi la genialità del tipo, vi racconto come andò.
Ci vedemmo una domenica sera a Roma al Bolognese, per cenare insieme. Ordinammo un Dolcetto di Vajra, il “Coste & Fossati”, e ci portarono il Dolcetto normale. Che respinsi, perché io volevo assaggiare con lui il cru dichiarato in carta. Anche il servizio, quella sera, lasciò un po’ a desiderare così come i piatti. Ma erano dettagli che avvenivano durante una normale chiacchierata. Quando lessi la sua prefazione al mio libro scoprii che lui aveva riportato esattamente le mie critiche di quella sera. Un genio, perché poteva fare una prefazione banale o normale e invece è andata a coglierla nella realtà di un incontro vero. Fu una gran bella lezione. Ogni anno vengo invitato al premio È Giornalismo e il momento più emozionante fu quando lo assegnarono a Mario Calabresi, con la sua stretta di mano a Giorgio Bocca che nessun fotografo pigro immortalò, ignaro che in quella stretta di mano ci fosse un pezzo di storia e di stile. Il momento più divertente fu il premio ad Antonio Ricci, per Striscia, che segnò una rivoluzione coraggiosa nella concezione del giornalismo. Poi il fondatore di Google, altra rivoluzione. In questa sede ho visto da vicino Montanelli, che fu il mio primo direttore (il primo quotidiano su cui scrissi nel 1988 fu Il Giornale); Enzo Biagi (ne studiavo la punteggiatura e mi affascinava il suo uso dei due punti e del punto e virgola) e Giorgio Bocca, un bastian cuntrari con cui varie volte ho polemizzato (anche quando scrivevo sull’Espresso), e lui ogni volta mi salutava calorosamente. Quante cose ho imparato da quei gesti semplici e umani. Non era mai la parola scritta l’ultima parola: c’era il percorso della vita che contava di più. E c’era la simpatia umana. Ecco, oggi a Massimo viene dato un premio che ha proprio a che fare con la simpatia umana. Bravo Massimo!
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