È da quando hanno aperto il loro Aga (acqua in ladino) in una preziosa nicchia rivestita di legno all’interno dell’Hotel Trieste (via Trieste, 6 - tel. 0436890134) a San Vito di Cadore (Bl), che Alessandra Del Favero e Oliver Piras sono consapevoli dell’estrema importanza della scelta di ogni singolo ingrediente, lavorandolo attraverso precise cotture e ricercandone l’espressione nitida del sapore. Allo stesso tempo, propongono piatti che sembrano una cosa ma poi si rivelano altro nella loro complessità, come la famosa carota in chips con la sua tartare in carpione, stimolando così il piacere ludico del bimbo sopito dentro ognuno di noi.
A distanza di 4 anni dalla mia prima visita quasi nulla è cambiato nella piacevole stanza di pino, non fosse che grazie al nuovo pavimento è ancora più luminosa, calda e accogliente. In cucina si nota una presenza più spiccata di erbe e aromi di provenienza asiatica, sudamericana o africana, impiegate a sostegno oppure in veste di corollario a tesori del territorio alpino. Queste escursioni nei continenti gastronomici, usate magistralmente, trasformano il piatto in una fusion che altro non è che ricerca dell’equilibrio, concentrazione di sapori, continua sollecitazione alla nostra sensibilità olfattiva e gustativa. In questo modo ne guadagna la leggerezza e si allarga la gamma delle nostre percezioni.
Oggi l’attenzione della coppia di chef è centrata sul manufatto creato all’istante. Una vera cucina espresso, dall’amuse bouche al dolce, mentre loro due si alternano al maître nella presentazione di ciò che arriva in tavola. Proprio come Yin e Yang, le loro energie si completano vicendevolmente, creando allo stesso tempo armonia e vette estreme di gusto mescolate a sapori rassicuranti.
Il menu da 8 portate parte con 4 piccoli benvenuti: la carota, la cui buccia soffiata rimanda quasi al bacon, la frolla con fragola caramellata al Negroni su maionese di acciughe, di forte impatto palatale e ancora l’elegante croccantezza dei rognoncini fritti con uva spina e pelargonio che accendono i sensi. I Bifun invece sono degli spaghetti di riso mantecati allo yogurt di capra con uova di aringa e origano: non vorremmo davvero più farne a meno!
Un burro di malga, salato e montato è un’irresistibile, costante presenza che accompagna il pane, caldo e fragrante, ottenuto da lievito madre.
La seppia con farro tostato su brodo di kombucha di cetriolo e tagete, dai toni morbidi e rassicuranti, gioca sulla contaminazione tra gusti e culture. E poi la suadenza di carpaccio, chia, rabarbaro e rafano e cialda di chia.
Lenticchie, frutti rossi e levistico con brodo di patate arrosto ed erba cedro: qui il talento si ritrova espresso nell’interpretazione dell’essenziale, un piatto povero nobilitato e trasformato in una star! I
l primo è una pasta ripiena di agnello dell’Alpago con intingolo di rapa rossa e birra belga Criek e anche qui si arriva a capire, esplorandoli, quanto prodotti del territorio e sapori nordici si possano combinare alla perfezione. Un altro evergreen è il calamaro “di montagna”, col suo rimpiattino di gusti e ingredienti che ingannano piacevolmente il palato. Il salmerino, pesce di fiume in quota, è proposto su un beurre blanc alleggerito con siero di latte, tapioca e verbena: qui la delicata leggerezza regna sovrana.
Pre dessert è l’anguria che si fa “meraviglia”: dopo la marinatura in aceto sprigiona infatti una dolce acidità che si sposa amabilmente i particolari sentori aromatici del coriandolo boliviano. A chiudere l’indimenticabile degustazione è il dolce “Rosa”: sorbetto di vino rosato con meringa di karkadè.
Oltre alle ottime etichette in carta troverete un’attenta selezione di vini in accompagnamento ai piatti.