Che qualcosa fosse cambiato nella percezione del prodotto Alta Langa l’ho registrato a fine marzo quando all’hotel I Castelli, ospite dell’Albeisa per Nebbiolo Prima, ogni pranzo e cena era preceduto da un aperitivo con quelle bollicine. E giravano bottiglie di produttori che magari da poco avevano iniziato a produrre quella che per molti rappresenta una novità, benché le 7 aziende fondatrici iniziarono questa avventura nel 1990. Oggi le aziende che producono Alta Langa sono 45, divise fra le province di Asti, Alessandria e Cuneo.
Detto questo, nel lungo processo di degustazioni condivise con Marco Gatti e i miei collaboratori in questi vent’anni, sono stati 6 gli Alta Langa che hanno raggiunto il vertice della corona, simbolo che viene attribuito su ilGolosario ai Top Hundred, i 100 migliori vini d’Italia, premiati ogni anno senza mai tornare sulle aziende delle annate precedenti. Le cito, perché non solo rimangono una conferma, ma i loro vini sono cresciuti parecchio: la famiglia Bava con il "Toto Corde” 1999 (premiato nel 2007) dell'azienda Cocchi, Cantina Vallebelbo con l'Alta Langa Brut Millesimato "Cesare Pavese" 2015 (premiato nel 2020), Enrico Serafino con Cantina Maestra Alta Langa “Zero” Sboccatura Tardiva 2004 (premiato nel 2010), Paolo Avezza con l'Alta Langa Brut Metodo Classico 2012 (premiato nel 2016), Paolo Berutti con Alta Langa Brut Millesimato 2013 (premiato nel 2017), a cui voglio aggiungere il notevole Alta Langa di Ettore Germano che premiammo col millesimo 2010 nel 2015 segnando allora un gran passo in avanti per questa denominazione.
Detto questo, dopo aver fatto un full immersion nei campioni di Alta Langa, due settimane fa, grazie al Consorzio che mi ha accolto favorendo l’assaggio delle quattro tipologie (Cuvée, Blanc des Blancs, Blanc des Noirs e Rosé), dico una cosa politicamente scorretta, ma la dico, anche se può non far piacere a Giulio Bava, che dell’Alta Langa è presidente. Il ruolo che ha giocato la sua azienda, Cocchi, nell’affermazione e per la crescita di questo prodotto è stato fondamentale, ma per un motivo molto semplice: ci ha creduto, lui e tutta la sua famiglia. Non è un caso che in tutte le quattro tipologie di Alta Langa, il prodotto col marchio Cocchi, ai miei assaggi, si sia posizionato ai vertici, insieme ad altri ovviamente, ma sempre in alto, quasi a identificare un prototipo. Per questo Giulio Bava è a tutti gli effetti “Il presidente”, che non solo svolge un ruolo istituzionale (e lui tifa davvero per tutti, e si compiace quando il prodotto di un collega cresce), ma si mette in gioco. In questo modo l’Alta Langa è cresciuta, ha convinto tanti altri produttori, arrivando a codificare un prodotto che ha una sua originalità, con un corredo organolettico che possiamo riassumere in freschezza, corpo e sapidità, oltre alla finezza delle bollicine che in generale si pongono nel bicchiere per un sorso di generale equilibrio.
“Produrre Alta Langa è un mestiere da ottimisti, che ci insegna il senso dell'attesa” è l'incipit di Giulio Bava, che abbiamo intervistato nella sede della sua azienda a Cocconato d’Asti.
“L'Alta Langa – dice –
ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama spumantistico italiano per alcuni valori aggiunti che ne caratterizzano da sempre lo spirito consortile. E questo con un numero di bottiglie di appena 2 milioni e mezzo se li confrontiamo con altre realtà come Franciacorta e Trentodoc”.
Ora, sempre secondo il Presidente, il brand Alta Langa si identifica con un
territorio credibile e
dal grande valore storico giacché proprio qui nacque il primo Metodo Classico ancora prima dell'unità d'Italia, nelle “Cattedrali Sotterranee” di Canelli, oggi Patrimonio dell'Umanità. Già dall’inizio dell’800, i conti di Sambuy, influenzati dalla vicinanza geografica e culturale con la Francia e con le sue produzioni vinicole, diedero inizio in Piemonte alla coltivazione di alcuni vitigni francesi – pinot nero e chardonnay in particolare – per produrre vini spumanti sul modello di quelli della Champagne, tant’è che ingenuamente, sulle etichette di due secoli fa non era raro trovare in etichetta la scritta Champagne, prima che le leggi mettessero la briglia, impedendo persino la dicitura metodo champenoise, poi da noi sostituita con metodo classico.
Convinto che il terroir piemontese fosse ottimale per la coltivazione e la produzione di uve da spumante, Carlo
Gancia iniziò nel 1848 un periodo di lavoro e sperimentazione, coltivando pinot nero e chardonnay soprattutto nella zona di Canelli, e aprendo così la strada a molti altri produttori del territorio.
Ora, secondo Giulio Bava non esiste all'interno delle cantine afferenti del Consorzio un leader quantitativo che detta le regole, piuttosto le realtà più grandi trascinano quelle più piccole, facendole sentire parte di un unicum.
È un brand molto dinamico e aperto al confronto. Nell'ultimo CDA sono entrate 5 nuove aziende (Gruppo Italiano Vini, Castello di Perno, Garesio, Poderi Vaiot, Poderi Colla), mentre nell'ultimo triennio sono triplicati gli ettari vitati che oggi sono 350. Il mito delle alte bollicine piemontesi, poi, viene declinato con studi sulla sostenibilità, sulle caratteristiche del terroir, sui cloni più affini, sulle tecniche di conservazione delle bottiglie e tanto altro. Ma le caratteristiche dell’Alta Langa che hanno permesso di acquisire credibilità, sono le regole ferree del disciplinare di produzione da cui distilliamo questi quattro punti qualificanti:
• è l'unico ad essere esclusivamente MILLESIMATO
• i tempi di affinamento sono più lunghi di tutti gli altri, avendo un minimo di 30 mesi
• quindi le rese basse in vigna
• il vigneto destinato all'Alta Langa, infine, non può essere destinato ad altre vinificazioni (esempio: vino bianco fermo)
Potenzialmente, dunque, l’Alta Langa può crescere essendo
149 i Comuni che rientrano nel disciplinare di produzione e il Consorzio sta per completare la mappatura per evidenziare tutti i vigneti sopra i 250 metri sul livello del mare.
Eccoci allora pronti al nostro viaggio, dove citiamo le etichette che più ci hanno colpito, anche come novità.
La parte minore degli Alta Langa è composta dai
Blanc des Blancs e qui fra i nostri assaggi si è preso i cinque asterischi pieni l’
Extra Brut “Propago” 2016 di Enrico Serafino, dal colore paglierino, che al naso aveva una soave fragranza di pane. Stoffa elegante con un equilibrio encomiabile dove in bocca, al solletico delle bollicine fini, si sentiva una freschezza lunga con note fruttate invitanti.
Buono anche il
Pas Dosé di Deltetto riserva 2016 che in bocca ha un’espressione secca, asciutta dentro a un bell’equilibrio fra alcol e acidità. E se l’
extra brut di Contratto “champagneggia”, il
Brut di Cocchi è cremoso, ricco, con un finale pregnante di freschezza.
Passiamo ora alle
Cuvée, ovvero pinot nero e chardonnay che rappresentano la tipologia più diffusa delle quattro prese in considerazione.
E iniziamo dalla sorpresa del
Valentina Nature Pas Dosé 2016 di Bel Colle, che dell’Alta Langa ha il corpo, l’intensità fruttata al naso e una spada acida accattivante. Notevole è poi la
Limited Edition del Brut 2016 di Fontanafredda, dove il naso ti avvolge con la crosta di pane e un che di frutta sotto spirito e viola. In bocca è ricco, pieno, elegante e per questo caratteristico. Un produttore che poi ci ha colpito, sia con il brut 2016 e sia con il Pas Dosé 2015 è
Giribaldi di Rodello. In questo caso un paglierino brillante, al naso note eteree di caramelline alla frutta e crosta di pane. In bocca è filigranoso con una freschezza piacevolissima. Ma c’è stata un’altra cantina che a mio avviso è da inserire fra i top dell’Alta Langa:
Pianbello di Loazzolo. Di questa azienda ci è piaciuto il
“Pianbé” 2015, un brut finissimo, con un finale sapido e un amaricante molto elegante.
I cinque asterischi pieni in questa categoria se li è aggiudicati tuttavia
Cocchi con il
"TotoCorde" Brut 2014 che resta un prototipo con il suo colore che tende all’oro e le note di crosta di pane e nocciola molto intense, che chiude con un finale persistente e sapido.
Di casa
Gancia, dobbiamo citare poi due Alta Langa che ci hanno colpito nell’assaggio avvenuto nei nostri uffici. Ovvero la
Cuvée 36 mesi del brut 2013 che aveva note fruttate di mela e frutti esotici e poi un sorso scalare di una piacevole complessità. Tuttavia i cinque asterischi se li è guadagnati la
Cuvée 60 mesi del Brut Riserva 2011. Un vino di colore oro antico, dove trovi fragranze di crosta di pane, note saline, come essere in riva al mare, tracce minerali e poi un grande equilibrio in bocca, giocato su note di pienezza ma anche di avvolgente freschezza. Persistenza molto lunga.
Di recente tuttavia avevamo assaggiato il
Marcalberto Extra Brut 2016 (iconico, eccezionale), l’Alta Langa di
Banfi con la Cuvée Aurora Extra Brut 2015 (una bottiglia da sempre affidabile e sorprendente) ed
Ettore Germano con l’Extra Brut 2016 che da sempre esprime un prototipo, quasi una sintesi di ciò che ci si dovrebbe aspettare.
Ora, una certa attenzione, l’abbiamo poi voluta dedicare al
Blanc des Noirs, assaggiando in comparazione tutti i 16 campioni.
Ed eccoci a sorprenderci subito, vergando i 5 asterischi del
Brut 2017 di Paolo Berutti, che per noi è stata una felice conferma. Un brut di colore giallo oro che al naso aveva note finissime di miele e un accenno di crosta di pane. In bocca sarà notevole l’eleganza e la finezza registrata, per un campione a dir poco eccezionale che poi in bocca traccia quella delicatezza aromatica avvertita al naso.
Del medesimo tenore anche
Casa E. di Mirafiore con la sua nuance eterea e floreale e poi il corpo e l’equilibrio che appunto dicono Alta Langa. Il finale è lunghissimo, trasportato dalla freschezza. Qui davvero abbiamo trovato tanti voti altissimi, a testimonianza che il pinot nero accasato in Piemonte sa dare risultati davvero sorprendenti. Come
Fontanafredda con il
“Vigna Gatinera” 2011, prodotto da sempre nella maison quasi come un biglietto da visita, che ha fatto il giro del mondo. Ha colore giallo oro; al naso è floreale e speziato con una fragranza olfattiva e anche gustativa caratteristica e dell’Alta Langa, oltre al buon corpo ha la chiusura sapida.
Dei campioni di
Tosti, quello che più ci ha colpito è stato il
Riserva Giulio I che porta la data del
2009. Ha colore oro antico, al naso note di alghe marine, di fiori quasi come sentire un vino d’Oltralpe. In bocca la sua speziatura fine accompagna un equilibrio giocato su finezza e freschezza col corredo di bollicine ricche. E questo rappresenta una fuga in avanti, ovvero dove può osare l’Alta Langa.
Volti alti poi, ancora per
Pianbello col suo Orme Pas Dosé 2016. Ha colore che tende all’oro da cui si intravvede la catena di bollicine finissime. Al naso è etereo e fruttato, equilibrato nonostante il timbro di freschezza che prolunga la persistenza.
Sontuoso lo
Zero Pas Dosè 2014 di Enrico Serafino. Anche qui giallo oro, naso ampio e speziato con note marine. È un esemplare che esprime la potenza dell’Alta Langa e del pinot nero, di cui ne traduce l’assoluta eleganza.
Notevole, ma non ne avevamo dubbi, il
Pas Dosé Riserva 2014 di Ettore Germano, che ha tutta la struttura e la potenza dei migliori Alta Langa, ma si declina in una bollicina decisamente elegante. Del medesimo livello è poi il
Pas Dosé Brut Nature 2014 di Cocchi di colore giallo limone, da cui si sprigionano bollicine finissime. Al naso è il pompelmo che annuncia la freschezza che si avvertirà in bocca, ma il marchio di fabbrica qui lo percepisci dalla ricchezza fragrante delle bolle e dall’equilibrio. Lo potremmo definire un prototipo di “freschezza” ed “eleganza”.
E infine eccoci all’assaggio dei
Rosé con un buon
Contratto For England Pas Dosé 2016 che ha colore buccia di cipolla, ha un naso floreale e poi in bocca tracce minerali, chiusura sapida e amaricante.
Da sorpresa anche il
Dosaggio Zero Pas Dosé 2016 di Garbarino che è avvolgente già al naso e poi in bocca si esprime con estrema finezza.
Novità assoluta per noi è poi stato il prototipo di un’azienda,
Bretta Rossa di Tagliolo Monferrato che abbiano stimato per il Dolcetto di Ovada, ma che qui ritroviamo con la
Cuvée Leonora 2015. E qui la sorpresa è quella ventata vinosa e fragrante che poi nasconde una bella crosta di pane, note marine e una speziatura esemplare. In bocca una sola parola: fragranza assoluta. Bravo Beppe!
Altra sorpresa è stato poi trovare un campione del pinot nero in Alta Langa,
Colombo, con il suo
Rosé Riserva 2013 che ha una nuance aromatica persistente, che ti accompagna anche in bocca, dove la fragranza fruttata chiude con la classica nota sapida.
E infine, l’
Alta Langa Rösa 2015 di Cocchi che al naso ti porta su una battigia, ma che ti fa vedere un’intensità di crema che sono le bollicine ricche e fini che in bocca accompagneranno un sorso fresco, intenso, con una chiusura sapida che ancora adesso ricordiamo. Una bottiglia che a occhi chiusi riassaggeremmo fra le tante.
Detto questo, dopo questo avvincente e lunghissimo assaggio, la nostra impressione è che l’Alta Langa abbia raggiunto una maturità qualitativa che apre a un futuro pieno di novità. Quali? Io penso che aumenteranno le aziende che proveranno a prolungare l’affinamento in bottiglia, memori dei risultati eccezionali ottenuti dai 60 mesi; aumenteranno anche i produttori, perché questo prodotto possa fare sempre più massa critica, accanto ai grandi vini di Langa, di cui condivide il nome. Ma l’Alta Langa è un territorio vergine per certi versi, che abbraccia sia la provincia di Cuneo sia quella di Asti e in parte Alessandria. Anzi, le sorprese in questa degustazione sono arrivate in molti casi proprio da quei territori vergini, ad altezze dove la vite era scomparsa, che hanno trovato una nuova e contemporanea collocazione, per un’avventura che scriverà pagine nuove (ma già sono state scritte) della vitivinicoltura piemontese.