Il suo incipit si può sintetizzare in: “Bisogna essere migliori di noi stessi ogni giorno che passa”. Ferran Adrià. E racconta: “Ho mandato il mio primo curriculum a Gualtiero Marchesi. Ho pensato: “Se non sono adatto a fare questo mestiere, meglio che me lo dica il migliore”. Sono stato fortunato: dopo lo stage mi hanno assunto al Marchesino e poi all’Albereta. Da lì, non mi sono più fermato.”
Dopo l’esperienza con Gualtiero Marchesi, Alberto ha preso la valigia ed è partito per un lungo viaggio di formazione. Mosso dalla curiosità e da una “sana ambizione”, come la definisce lui, ha lavorato in alcuni dei ristoranti stellati più rinomati al mondo, per imparare tecniche e culture culinarie diverse: cucina vegetariana da “Joia” a Milano, kaiseki a Tokyo da “Hishinuma” e “Narisawa”, innovativa nordica da “Geranium” a Copenaghen, avanguardista spagnola da “Disfrutar” a Barcellona e creativa messicana da “Pujol” a Città del Messico… Per 10 anni ha sommato esperienze in cucina. In CAST Alimenti si è fermato un anno per integrare la sua conoscenza di pasticceria e panificazione. Ora è la volta della Francia, che nel palmarés di haute cuisine di Alberto è tappa obbligatoria ma anche conclusiva di una lunga formazione. Tra qualche anno vuole aprire, infatti, un ristorante in Italia in cui mettere a frutto le sue esperienze internazionali.
1. Nel lungo percorso professionale di questi anni, quale è stato l’aspetto più gratificante e quello più faticoso?
Sicuramente il più gratificante e stimolante, aggiungerei, è stato rendermi conto che nulla è impossibile: se si lavora ogni giorno con un obiettivo e con le idee chiare, si costruiscono le basi per arrivare dove si vuole. Volere è potere! Certo, la determinazione è fondamentale. Faticoso è, sicuramente, ogni volta che parto per una nuova esperienza di lavoro, il distacco dalla mia famiglia alla quale sono molto legato. Senza questo appoggio morale in alcune situazioni difficili non penso che sarei riuscito a superarle. Ogni aereo, anche se ormai ne ho presi parecchi, sono lacrime di cui non mi vergogno.
2. Quale cucina ti ha maggiormente affascinato e quale invece consideri la più formativa?
Nonostante avessi appena 20 anni, lo stage da Marchesi è stato una lezione “oltre”. Oltre l’imparare e il saper cucinare. È stata un’esperienza a sé, per la grande cultura, non solo culinaria del Maestro e per la capacità di condivisione di questo suo sapere. Solo poco tempo fa ho capito completamente il vero valore dei suoi insegnamenti.
La più affascinante fra le esperienze all’estero è stato “Disfrutar” a Barcellona per il loro modo di porsi davanti a un ingrediente, la costruzione di un piatto partendo dalle trasformazioni più impensabili, ma assolutamente logiche e mai scontate. E poi “Geranium”, interessantissimo per quanto riguarda l’organizzazione e la meticolosità di ogni singolo movimento. E, infine, il Giappone, un’esperienza unica nel suo genere, dove ho imparato a pelare una carota e una cipolla secondo i dettami della loro cucina tradizionale, poco riproducibile nel nostro frenetico mondo occidentale. Sono, però, insegnamenti che ti formano non solo come cuoco che cucina, ma come cuoco che pensa e che mette l’anima in quello che offre ai clienti.
3. Cosa ti aspetti di apprendere di nuovo durante questo periodo in Francia?
Mi aspetto di cucinare. Capire quando e come un pesce o una carne devono essere cotti senza attrezzature innovative, ma solo con la casseruola e il fuoco. Mi aspetto di imparare i fondi e le tecniche di cottura che, una volta assimilate correttamente, possono essere spunto per qualcosa di incredibile, come la “Cacio e pepe in vescica” di Riccardo Camanini.
4. Nelle strutture di ristorazione come quelle in cui hai lavorato, quali competenze e attitudini sono più richieste per una figura professionale come la tua?
Credo che l’umiltà e l’impegno siano fattori determinanti. E poi una buona e sana competizione con te stesso perché, come dice Ferran Adrià “Bisogna essere migliori di noi stessi ogni giorno che passa”.
5. Due consigli veramente essenziali che daresti a chi vuole intraprendere la carriera di chef?
Siccome non si smette mai di imparare, bisogna porsi obiettivi alti, perché viviamo di stimoli e per raggiungerli bisogna ogni volta spingersi sempre un po' oltre i nostri limiti. Non improvvisarsi e non credere di sapere, ma ascoltare. Sono più di due, ma sono fondamentali per me.