Il dolce e la voluttà sono - da sempre - intimamente legati come ci ricordano le scene indimenticabili di una languida Marie Antoinette - Kirsten Dunst o di una semplice e sensuale Juliette Binoche nel film Chocolat. Un legame che anche anticamente era forte, senza mai essersi liberato completamente dal senso di colpa. Ecco perché il cioccolato in Quaresima è stato a lungo dibattuto, proibito e solo segretamente consumato come fa Gertrude, quando lascia la casa del padre per entrare in convento e diventare - per l'appunto - la monaca di Monza.
Questo curioso intreccio tra desiderio e penitenza ha dato origine alle minni di Virgini, il dolce più scandaloso della cucina italiana.
Sul nome "minni" non ci sono dubbi: basta guardare un'immagine per capire a cosa si riferisca il termine dialettale siciliano. Le "virgini" sono invece le suore, non (solo) come proprietarie delle suddette minni, ma anche come pasticcere deputate a produrre questa specialità.
La ricetta per tradizione è attribuita a suor Virginia Casale di Rocca Menna, del Collegio di Maria di Sambuca che pare le abbia create nel 1725 in occasione del matrimonio del Marchese don Pietro Beccadelli con donna Marianna Gravina. Ai tempi non erano ancora minne ma semplicemente paste, come le definì anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo facendo annoverare dal principe di Saline le “impudiche paste delle Vergini” sulla tavola delle nozze. Si trattava in questo caso delle Minni di Virgini di Sambuca, un dolce da forno dal bel colore dorato che si scurisce sulla sommità e che, nel progetto della religiosa, doveva forse ricordare più una collina che un seno femminile. Ma così è andata e la forma piacque tanto che il pudico principe di Salina si chiese perché il Sant'Uffizio non fosse intervenuto a proibirle. L'interno di questo dolce a sua volta è voluttà pura: zuccata, crema, cioccolato e spezia, il tutto però nel massimo equilibrio.