Successo a Golosaria per l'amaro delle antiche spezierie di Padula, arricchito dagli ingredienti del Vallo di Diano
Avevamo già avuto il piacere di assaggiare l'Amaro del Tumusso prima di Golosaria Milano, ma è stato durante la manifestazione, nello stand del progetto Trebbie curato da Studio Mad, che questo prodotto ha davvero spopolato. Un successo meritato per un amaro che racchiude in sé la storia, la natura e la convivialità di un territorio unico. “Il Vallo di Diano è un luogo magico - racconta Vincenzo Fagiolo - dove la natura incontaminata incontra la storia millenaria, creando un'atmosfera di rara bellezza. È questa l'essenza che volevo catturare nell'Amaro del Tumusso”.
La storia di questo amaro inizia quattro anni fa, frutto della collaborazione tra Vincenzo Fagiolo e il direttore del Parco e dell'Ecomuseo della Valle delle Orchidee e delle Antiche Coltivazioni. Un territorio ricco di biodiversità, che dal Monte Cervati, a 2000 metri di altitudine, degrada fino al mare. Proprio a Padula, cuore del Vallo di Diano, si svolgeva un tempo l'antica Fiera del Tumusso, un vivace mercato di spezie e bestiame che animava la piazza antistante la Certosa del 1300.
Un'alchimia di botaniche
L'Amaro del Tumusso è un prodotto artigianale ottenuto dalla macerazione idroalcolica di otto botaniche, sapientemente bilanciate secondo una ricetta segreta. Dopo 21 giorni, la tintura madre al 65% viene affinata in anfore di terracotta fiorentina, un metodo antico che conferisce all'amaro eleganza e morbidezza grazie alla micro-ossigenazione. A questa si aggiunge uno sciroppo di acqua e zucchero di canna grezzo integrale, senza l'aggiunta di aromi artificiali. Il processo si conclude con la filtrazione a carta a caduta e l'imbottigliamento.
Tra le botaniche protagoniste, spiccano il carciofo, uno dei simboli del territorio, e l'elicriso, un fiore dalle note di camomilla e liquirizia, benefico per il fegato e utilizzato fin dall'antichità. Ma l'ingrediente che dona all'Amaro del Tumusso il suo carattere unico è la radice di rafano, tradizionale della cucina lucana, che regala una nota piccante e amaricante sul finale, pulendo il palato e rendendolo un perfetto digestivo.
Per gustarlo al meglio, va servito fresco, ma non ghiacciato, tra i 4 e gli 8 gradi. Così emergeranno tutte le sue note, perfettamente bilanciate nell'amaro, con una piacevole speziatura e afflati balsamici. In chiusura, come detto, il rafano lascia la sua impronta piccante, che arricchisce il sorso di sfumature inedite. Ottimo in purezza, mostra carattere anche in miscelazione. Sperimentato in un Negroni rivistato, in sostituzione del Bitter, ha convinto appieno. Ma si può proporre anche in un classico Amaro & Tonic, con esiti convincenti.
Attualmente la produzione si attesta sulle 3-4000 bottiglie annue, proposte a un prezzo che in enoteca oscilla attorno ai 40-45 euro. Ben distribuito in Campania, ha già trovato casa in ristoranti importanti e in qualche bottigliera fuori Italia, trainato anche da numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Meininger’s Wine Hunter e la medaglia d'oro al Liquor Award. Un amaro che guarda al futuro, forte delle sue radici nel passato.