Il nuovo romanzo è un inno alla montagna più autentica, quella dura e pura, alla resistenza ai cambiamenti che sono stravolgimenti

Michele Marziani è un personaggio più unico che raro nel panorama letterario nazionale. Un riminese emigrato tra le montagne della Valsesia, giornalista di enogastronomia che un giorno di ormai quindici anni fa ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura. Ha scritto del Po, quello di Soldati, più che di quello odierno, della pesca e della Guerra, di agricoltura sociale prima che questo termine esistesse. Michele Marziani è uno di quegli scrittori che se non esistessero, bisognerebbe inventarli, perché a loro spetta il compito di trascrivere quelle storie vere in odor di romanzo o romanzate ma verosimili, che stanno fuori dalla cronaca dei giornali e delle riviste e lontani dagli uffici stampa. 

La cena dei coscritti (Bottega errante edizioni) si inserisce perfettamente in questo percorso. I protagonisti hanno alle spalle un background culturale simile a quello dell'autore, dove letteratura e pesca fanno da padrone. L'ambientazione è Riva Cannobia, borgo di montagna destinato allo spopolamento, dove non ci sono i telefonini, non perché gli abitanti siano antichi, ma perché lì neppure prendono. Insomma quei borghi di montagna destinati a scomparire, perché fuori dalle grandi rotte turistiche. Poi arriva il progetto di una diga, che rischia di sconvolgere tutto e scatena le passioni del gruppo di amici, classe 1942, che dà il via alla trama narrativa.

La cifra di lettura del romanzo però è anche in questo contrasto tra autentico, come la montagna d'antàn, e artefatto, come tanta montagna odierna, che si crede però più veritiero. C'è la scontro metaforico tra due osterie, quella storica, ormai chiusa con pochi piatti cucinati sulla stufa e quella dello chef barbuto celebrato dalle guide che ora guarda alla televisione e ai media (senza più accontentarsi della "merenda sinoira del golosastro"). Una dicotomia che Marziani rende perfettamente fin dalle prime pagine del romanzo quando fa raccontare al suo protagonista: "Veniva qualcuno di città con il naso all'insù, parlava di cose che non capivamo, voleva formaggi e salumi "tipici" ma noi avevamo solo quelli di qua". In questo c'è già tutto lo spirito de La cena dei coscritti. E del suo autore.  

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