Una giornata con il produttore di Oslavia, tra vigne e cantine. E vini memorabili

Per spostarsi tra i suoi tre vigneti – Runk, Hum e Dedno - Francesco “Joško” Gravner deve scavallare continuamente il confine tra Italia e Slovenia. Le colline però non credono alle barriere mentali e geografiche, e il paesaggio prosegue ininterrotto: vigne, boschi, case, qualche sprazzo d'incolto. I vigneti di Joško Gravner si riconoscono facilmente, per via dello stagno (“l'acqua è vita”) e delle anfore di terracotta piegate sghembe su un lato. I vigneti di Gravner sono ricchi di alberi: olivi, cipressi, meli selvatici, pere pettorali, frassini ornielli, sorbi.

Il contadino non deve soltanto produrre, ma anche preservare” spiega Joško . È così, e nei suoi terreni il pensiero diventa azione: nel sovescio che diviene pratica annuale, nelle casette per gli uccelli appesi agli alberi, dove le cinciallegre fanno il nido e pazienza se qualche acino in vendemmia vola via rapito dai becchi.



Oslavia, Lenzuolo Bianco. Qui c'è la casa di famiglia Gravner. Qui c'è la cantina. È suddivisa su tre spazi. Nel primo, regna l'assenza. Non ci sono presse pneumatiche, né celle di raffreddamento, né filtri. I macchinari sono ridotti al minimo, perché la strada intrapresa da questo anarchico del vino non prevede interventi. Al piano sotto, c'è la grande stanza delle anfore georgiane, “interrate, perché come un utero devono stare dentro la terra, altrimenti sono inutili”. In mezzo alla stanza c'è una sedia-pensatoio, che però più prosaicamente – la vigna è prosa più che poesia – serve anche per sostenere la pompa che aspira il vino dalle anfore, quando è il momento di travasarlo nel legno. Il terzo spazio è dominato dalle botti di legno – legno grande – dove il vino si fa per lunghi anni.

Se in vigna si preserva, in cantina la filosofia è quella del non intervento: nessuna filtrazione, nessuna chiarifica, solo lieviti indigeni, lunghe macerazioni. Non aggiungendo - o sottraendo - nulla, nessuna analisi viene eseguita fino al momento dell'imbottigliamento. Solo il tempo interviene: e per Gravner il 7 è il numero simbolo. Sette anni almeno attendono i bianchi prima di vedere la bottiglia.

Se il 2001 è l'anno della scelta delle anfore georgiane, il 2011 coincide con un'altra scelta: quella di coltivare solo ribolla – che vita questa zona da più di mille anni - e in piccola parte pignolo. “Un nuovo inizio”, lo ha definito Joško.

Come bere i vini di Gravner

Temperatura ambiente – anche per i bianchi - e tempo a disposizione: i vini di Gravner non concedono spazio alla noia. Nel bicchiere, meglio se ampio (lui ne ha fatto fare uno speciale, senza stelo, per approcciare il vino con umiltà), sono cangianti e vivi. Da riascoltare a distanza di mezz'ora, due ore, o il giorno dopo.

Bianco Breg

Il Bianco Breg è un uvaggio ottenuto da diversi vitigni: chardonnay, sauvignon, pinot grigio e riesling Italico, che fermentano separatamente ma affinano congiuntamente. Il 2008 ha l'intensità e ricchezza - c'è la frutta secca, le erbe aromatiche, lo zafferano, una sottile speziatura - di tutti i vini di Gravner, ma spicca anche per un sorso salino e un poco tannico di grande eleganza e per la piacevolezza di beva immediata. Il 2004 è oggi meno pronto, anche perché è un'annata che ha espresso maggiore forza e minor eleganza. Il 2002 è un vino senza paracadute, intenso e persistente come un distillato; noci, albicocche e un refolo di fiori secchi al naso, e poi un sorso vivo, fresco, tondo e secco.

Ribolla

La Ribolla è l'espressione di Oslavia da mille anni, e qui esprime tutte le sue potenzialità. Il 2008 è complesso e opulento: albicocca, agrumi, anice stellato, un sottofondo di erbe aromatiche, tè verde e note affumicate. Il 2007 è più snello, ma molto elegante e diritto: macchia verde in evidenza, con profumi terziari assai piacevoli. Il 2001 è spettacolare: soltanto 12% alcolici, ma una pienezza di sorso formidabile. La Riserva 2003, non ancora in commercio e che sarà disponibile soltanto in magnum, è il “vino”: da un'annata per tutti difficile a causa del gran caldo, Gravner ha trovato un vino impressionante. “Mi piace tanto perché non si offre, ma lo devi cercare” dice Gravner. È così: minerale, agrumato, etereo, erbaceo, con un finale leggermente amarognolo che spazia a lugno. Il 1998 non ha fatto anfora, ma tini di legno. Quasi ventenne, non perde freschezza e, dopo che la volatile iniziale svanisce, si offre con note di albicocca secca ed erbe balsamiche.

Pinot Grigio

Del Pinot Grigio Riserva 2006, appena commercializzato, abbiamo scritto nei giorni scorsi. Ancora più grande il 2001. Subito è quasi un balsamo, dai sentori floreali evidentissimi e con una speziatura che tende alla dolcezza. In bocca parte subito morbido. L'evoluzione nel bicchiere è pazzesca: il floreale cede il campo a spezie, frutta matura, erbe. Fantastico.

8.9.10

8.9.10 è il nuovo vino dell'azienda di Joško Gravner realizzato con una selezione di uve ribolla completamente botritizzate, lasciate a lungo sulle viti. Un vino che è frutto delle migliori uve di tre vendemmie: quella del 23 novembre 2008, quella del 12 novembre 2009 e quella del 15 novembre 2010 e imbottigliato con luna calante nel luglio 2015. Da qui il nome: 8.9.10. Un vino fuori dagli schemi, prodotto in sole 1200 bottiglie: ventaglio esplosivo da passito di razza, ma una freschezza invidiabile che lascia la voglia di finire la bottiglia.

Rujno

Selezione di Rosso Gravner prodotto solo nelle migliori annate. Il 1999, da uve merlot, è sorprendente per l'integrità del frutto e tannini e freschezza quasi adolescenti. Succoso.

Rosso Breg

Da uve Pignolo, fermentato sulle bucce in tini di legno fino al 2005, in anfora interrata dal 2006. Il 2004 è come il bluebird della poesia di Bukowsky: scontroso, ma dall'anima delicata. È un vino potente, dai tannini importanti, tanto fumé, ma anche frutto e vegetale.

Quindici anni fa quando Paolo Massobrio andò a trovarlo c’era ancora il confine, coi fili spinati e in Slovenia, nella sua prima cantina con le anfore, ci potevano stare solo un'ora. È il racconto di una degustazione intrigante. Alla ricerca, anche qui, del miglior vino possibile. O meglio di quello che si dice il "vino vero".


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