L’operazione da oltre 6 milioni di euro fa discutere i giornali di mezzo mondo: una vicenda tra criptovalute, happening culturali e il tema, sottaciuto ma enorme, della diseguaglianza
Nel 1984 Jay Conrad Levinson, pubblicitario di successo, inventò il concetto di guerrilla marketing: usare tattiche non convenzionali per fare marketing a prescindere dal budget che si ha a disposizione. Quello che conta in realtà è l’idea insieme all’effetto sorpresa. Nell’arte, un omologo potrebbe essere riscontrato nell’happening, l’opera istantanea, basata sulla performance e non sull’oggetto. L’esperienza che si deve consumare nel qui e ora, magari immortalata da una foto, ma sono come documentazione. Un esempio perfetto la reunion di persone nude fotografate da Spencer Tunick: l’opera d’arte non è la foto, ma il gruppo.
La famosa banana di Cattelan mangiata dal miliardario cinese delle criptovalute Justin Sun ha combinato entrambe le cose, facendo felici (quasi) tutti.
Anzitutto Sun che in una conferenza stampa il 29 novembre ha mangiato di fronte al mondo la celebre banana finendo così su tv e giornali di tutto il globo. Una fama insperata e immensa per chi, in quanto tycoon di criptovalute, è in realtà abituato a stare nell’ombra. Oggi nessuno si stupirebbe se Sun comprasse una squadra di serie A o un’azienda di auto. Tutti sappiamo chi è e che ha molti denari. Sun però può dirsi felice due volte, perché in realtà non ha buttato 6milioni di euro nel suo stomaco. L’opera d’arte di Cattelan non è quella singola banana che fu esposta nella casa d’aste, quanto il certificato che ne autentifica il procedimento. La banana è replicabile dal suo possessore infinite volte.
Il parallelo più immediato è con le opera d’arte digitali (come tali tecnicamente replicabili milioni di volte) che vengono però garantite dagli NFT, i “gettoni crittografici” che stabiliscono l’originalità e la proprietà dell’opera rendendola unica ed eterna. Un concetto ben chiaro a Sun: le criptovalute che lo hanno reso ricco infatti si basano sullo stesso meccanismo cioè la blockchain.
C’è poi il secondo attore di questa vicenda, l’artista Cattelan, che ha stabilito una delle maggiori plusvalenze nella storia dell’arte (e probabilmente dell’economia): la banana pagata 25 centesimi si è rivalutata 25 milioni di volte prima di arrivare al consumatore. Chissà cosa ne penserebbe Coldiretti che da sempre denuncia come la distribuzione assorba la maggior parte del valore della filiera. E in effetti è il “distributore” Cattelan ad aver realizzato il massimo guadagno. Gli attori però non finiscono qui: c’è infatti il primo anello della distribuzione, il signor Shah Alam, venditore bengalese di 74 anni, che vive in un seminterrato insieme ad altre cinque persone per sopravvivere e che non ha reagito bene alla banana dei record. Intervistato dal New York Times, infatti si è chiesto che persone fossero gli acquirenti e i consumatori della banana, prima di scoppiare a piangere al solo pensiero di una cifra che non avrebbe mai visto. Certo, almeno a Shah Alam si è goduto i 15 minuti di celebrità che secondo un altro artista, Wharol, spettano a tutti e, se fosse stato più giovane e intraprendente, magari avrebbe potuto trasformarli in un business, diventando l’influencer della banana.
In questa catena del non sense però c’è chi sta ancora più sotto, chi ha coltivato quella banana, che avrà visto probabilmente meno di un centesimo per quel frutto e che non avrà mai un nome. Che vive probabilmente in una baracca e che 6.200.000 dollari non saprà neppure immaginarli.
Alfieri su Avvenire di ieri sottolinea proprio questo: il gusto della banana di Cattelan & Sun non è neppure dolce come si si aspetterebbe, quanto piuttosto “amaro. Che sa di disuguaglianza e non solo di povertà”.