Nostra inchiesta tra cuochi e ristoratori: la convivialità deve essere salva
La fase 2 per la ristorazione è già cominciata almeno da un punto di vista progettuale. E le ipotesi in campo, al momento, hanno avuto un indubbio merito: ricompattare un settore che nel post Covid-19 vuole salvare l’anima - la convivialità - perché su questa si regge l’impresa, l’impresa italiana.
Lo stato dell’arte fra dining bond e delivery
La risposta alla crisi da Covid-19 ha seguito per ora due strade, che in massima parte coincidono con le due anime della ristorazione italiana. Da un lato la corsa al delivery, che ha interessato buona parte della ristorazione mainstream, quindi trattorie e pizzerie, ma non solo, che hanno cercato di attrezzarsi nel più breve tempo possibile e nel modo migliore. E soprattutto a Pasqua, per offrire un servizio di consegna ai clienti fedeli di alcuni piatti simbolo. Un modo per far ripartire almeno le cucine.
Diversa la strategia della ristorazione gourmet (o stellata se preferite) che ha visto il successo di alcune iniziative come i dining bond di Bottura ovvero una sorta di “buono cena” che si paga oggi e che si tramuterà, alla riapertura, in un’esperienza culinaria. Il vantaggio è per il ristoratore, che incassa subito, e per il cliente che vedrà applicata una speciale scontistica. Questa la strada seguita anche da Sadler che ha lanciato un buono per una cena scontato del 35% e così Berton e Taglienti e diversi altri.
Molto è legato al concetto di “alta ristorazione” che non può essere considerata solo in base al piatto ma all’esperienza complessiva. E proprio l’esperienza al ristorante a fronte delle necessità di distanziamento sociale che sarà imposta dalla fase 2 della risposta al Covid-19, ci porta a un domani che può avere tante forme.
La fase 2: cosa sappiamo (e cosa no)
Di certezze in campo, al momento, non c’è ancora nulla. Né sulle date di riapertura (il 4 maggio è solo un’ipotesi scritta sulla carta, a matita, e probabilmente non riguarderà i ristoranti) né sulle misure che dovranno essere adottate.
In proposito circolano alcune idee, alcune buone altre decisamente meno.
Vediamo le principali:
- il distanziamento dei tavoli: la riduzione dei coperti per mantenere una certa distanza tra i tavoli è ormai una certezza, però non piace a tutti. Ma tant’è…
- la sanificazione degli ambienti. Questa resterà una certezza che investe cucine e sala. Il nostro articolo sul tema - con la proposta innovativa degli architetti del gruppo Design E.0 - infatti ha riscosso interesse da parte degli addetti ai lavori, segno che questo sarà uno dei primi problemi da affrontare (ed è in arrivo un articolo sul SOSTENIsario dedicato al plasma freddo: qualità dell’aria istruzioni per l’uso).
- il controllo della temperatura all’ingresso. Succede già in alcuni supermercati e potrebbe essere una misura attuata anche dalla ristorazione. Zorzettig, noto produttore di vino friulano, ha addirittura brevettato Taac Fatto, un termoscanner automatico che inibisce l’ingresso a chi ha una temperatura che supera i 37,5 gradi. Bella idea, ma il pubblico si abituerà?
- la barriera in plexiglass. Sono circolati diversi render di barriere tra i tavoli o addirittura tra gli stessi commensali che di fatto rendono il posto a tavola simile a una postazione di call center.
Abbiamo chiesto su questo un’opinione ai ristoratori coronati del Golosario Ristoranti. E la risposta è stata unanime. E fortemente negativa.
Il plexiglass distrugge la convivialità e l’essenza del nostro lavoro
“Gabbie per criceti” che non invogliano certo ad andare al ristorante li ha definiti Paola Bertinotti del Pinocchio di Borgomanero.
“Una follia mentre ora c’è bisogno di maggior chiarezza” per Mauro Elli del Cantuccio di Albavilla; “Una tristezza” per Beppe Sardi, “Un’idea malsana” per Giorgio Cazzaniga di Arti di Bergamo e Cristina Carbone de La Manuelina di Recco (“Una coppia arriva e poi mangia col plexiglass che li divide? E una famiglia con figli? Cosa deve fare il ristoratore per essere in regola: chiedere l’autocertificazione di convivenza?”).
Tutti dunque introducono un fattore cruciale, anche per il modo di fare impresa: la convivialità che così sarebbe persa.
Una soluzione tra l’altro parziale, come sottolinea Paola Perbellini, “Se anche venisse certificata l’utilità dei divisori, il problema rimarrebbe. Basti pensare ai bagni, alle maniglie, al personale di sala, a chi maneggia il cibo e così via”.
Andrea Provenzani, chef executive del Liberty di Milano è tranchant: “L’uso delle barriere è una sciocchezza assoluta che cancella ogni principio dell’accoglienza e del servizio della ristorazione. Eviterei proprio di parlare di questa ipotesi, tanto è folle. Causerebbe disagio sia ai commensali sia ai ristoratori.”
"E le barriere non sono l’unica idea malsana" - spiega Matteo Scibilia dell'Osteria della Buona Condotta di Ornago - “Tra le tante idee bizzarre che girano per la riapertura, c'è anche un'altra ancora peggiore, che i clienti non potranno sedersi uno di fronte all'altro ma solo affiancati”.
Mentre viene rifiutato il box, il distanziamento dei tavoli invece non dispiace a Daniel Canzian dell’omonimo ristorante milanese: “No plexiglass ma tavoli distanziati sì. Due tavoli in meno non modificano sostanzialmente il budget di un ristorante e avvantaggiano anche la privacy dei commensali”.
Ci vorrebbe più chiarezza su altro come per esempio “la pulizia di tavole, sala e posate”.
E Carlo Cracco, mentre boccia l’idea dei divisori dice che comunque non ci sarà la corsa ad entrare in un ristorante, almeno per un po’: “Sui pochi coperti che avremo ci farei comunque la firma, ora. Quindi il problema delle distanze si può gestire volendo”. “Tuttavia abbiamo il l’incognita delle regole certe. È chiaro che dovremo convivere con questo brutto virus – dice ancora Cracco - ma è necessario per non perdere il territorio, il rapporto coi piccoli artigiani che sono il tesoro che fa la differenza. Da questo punto di vista, pur dovendo reinventarsi il lavoro per cercare di sopravvivere - conclude - dovremo esserci per quel turismo interno che in qualche modo dovrebbe attivarsi”.
Quasi in contemporanea arriva il contributo di un suo conterraneo, Roberto Astuni da Bassano del Grappa del ristorante Sant’Eusebio Alla Corte: “A mio avviso appena si potrà aprire, il concetto di igiene si alzerà di molto e la paura persisterà per diverso tempo. Detto questo credo si debba partire da un concetto fondamentale e cioè le motivazioni (e sono diverse da locale a locale) per cui le persone andavano fuori a mangiare”. “In quanto alla soluzione del plexiglass andrà bene sono per i fast food o comunque i ristoranti da pausa pranzo e quelli turistici. Ma io non metterò mai una cosa del genere.”
Enrico Bartolini, tuttavia, non vuole accettare compromessi: “Anzitutto, fintanto che non abbiamo rassicurazioni riguardo il rischio di contagio per i lavoratori e clienti io non mi sento tranquillo di assumermi la responsabilità di aprire. Poi, quando si riaprirà, voglio che tutto il mio team riprenda in mano le stesse buone abitudini di quando abbiamo chiuso anche se con i necessari accorgimenti. Posso pensare di cambiare, ma se il governo ci impone di aprire in condizioni poco eleganti o non in linea con lo spirito oggettivamente adeguato mi verrebbe da pensare che non vuole sostenere né il made in Italy, né l’artigianalità che fino a oggi ci hanno reso grandi nel mondo”.
Più attendista la posizione di Bruno Barbieri: “È un momento complesso per cui ipotizzare delle “soluzioni” è altrettanto complicato… le linee guida ci verranno date da organi e organismi preposti, solo allora sapremo quale sarà il futuro, fino a quel momento preferirei non dire nulla a riguardo, sarebbe prematuro”.
Ed è anche il pensiero di Antonino Cannavacciuolo che pur avendo riflettuto non può che attendere un Decreto in merito: “In questo momento – dice – sta girando di tutto e non si capisce più cosa sia vero o meno”.
L’HACCP e il galateo stropicciato
Quanto sarà importante avere nuovi protocolli HACCP? Come dovrà essere attuata la sanificazione degli ambienti? è questo il problema che si pongono in tanti e che lascia interrogativi aperti.
Ed è ancora Roberto Astuni che gioca d’anticipo: “A tal proposito stiamo lavorando a un protocollo di “sicurezza” interno, una sorta di manuale HACCP specifico per questo particolare momento. A meno che non ci saranno decreti normativi che imporranno come comportarci.” E appunto Leo Ramponi dell’osteria Al Bersagliere di Verona chiede un manuale di best practice da seguire.
Silvia Moro del ristorante Aldo Moro di Montagnana pone l’accento sulla nascita di una nuova etichetta del servizio: “La soluzione del plexiglass non mi sembra percorribile anche perché non si conosce l'efficacia e l'utilità di quegli schermi, come la loro pulizia o manutenzione e messa in sicurezza (possono cadere? Come si puliscono? In quanto tempo perdono trasparenza?)". Sulla situazione futura e l'impatto del Covid-19 la cosa più ragionevole da aspettarsi è un aggiornamento dei protocolli HCCP che diano chiare indicazioni sulle misure da mettere in atto (un esempio sopra tutti: ogni quanto cambiare i guanti considerando che il personale di servizio serve più commensali?). Ritengo invece interessante e utile per il settore - prosegue Silvia - ragionare su come le nuove misure possano sposarsi con gli standard di servizio e il galateo per come si è abituati a concepirlo. Pratiche come il servizio dell'acqua e del vino, il cambio continuo delle posate potrebbero essere contrarie ai nuovi standard, andando a rivoluzionare quella che è una certa concezione di tavola (nel caso magari si arrivasse a dover abbandonare il cotone per usar tovaglie sterili monouso?). Forse quindi assisteremo a una "riscrittura" del galateo a tavola che darà nuove indicazioni ("temporanee") su ciò che è elegante fare nei limiti di ciò che è concesso. Più che di plexiglass sarebbe importante fare cultura e formazione su come definire nuovi processi di lavoro e di sanificazione”.
Una posizione non distante da quella di Gigi Mangia dell’omonimo ristorante di Palermo: “Io ho immaginato soluzioni a basso costo, mantenendo l’arredo attuale e investendo su una sanificazione aerea costante, ma il problema più importante è in realtà quello delle distanze sociali tra il personale di cucina in primis. Per mantenerle infatti bisognerebbe turnare l’attuale forza lavoro o licenziare”. E su questo ultimo punto si apre un altro fronte, per molti versi ancor più importante: “Lo stesso dicasi per il personale di sala. Inoltre a fronte di una necessaria riduzione dei coperti come sarebbe possibile mantenere gli attuali livelli di occupazione e continuare a pagare l’affitto?”.
Una domanda che per Umberto Montano, fondatore del Mercato Centrale, e in procinto di inaugurare il suo gioiello alla stazione Centrale di Milano (che inizialmente era prevista proprio in questi giorni) è una preoccupazione basilare.
Dateci la possibilità di restare chiusi e riaprire in sicurezza
La provocazione la lancia dunque Umberto Montano: “Chi frequenta un esercizio commerciale come il nostro vuole relax e convivialità, non vuole certo avvertire paura per la propria salute. La barriera di plexiglass così come immaginata non è altro che un’aggravante delle paure. Va bene per una mensa aziendale o per un ospedale non per un locale che per sua natura è ricreativo. Anzi, questo elemento potrebbe essere addirittura un’arma a doppio taglio, fuorviante da quello che è il centro del problema. La ristorazione deve aprire senza vedersi gravare costi smisurati. Se i costi più gravi sono personale e affitti, gli interventi e le soluzioni vanno cercate lì. I ristoratori dovrebbero far fronte comune per chiedere al Governo un intervento in due direzioni: da un lato entrare nella contrattazione privata e permetterci di non pagare l’affitto se non si sta lavorando o se lo di fa con una riduzione netta di clientela, orari e coperti”. E ancora: “Il legislatore dovrebbe intervenire per definire un nuovo rapporto tra conduttore e locatario, altrimenti saremmo gravati di costi insostenibili. In seconda battuta è necessario intervenire sul personale, assicurando una forma di sostegno al reddito per chi perderà il posto di lavoro. Il mantenimento degli attuali livelli di occupazione a fronte di un crollo degli introiti come si prospetta è impensabile. Su questo la categoria deve condurre una vera e propria battaglia, altrimenti il settore rischia di trasformarsi in un cumulo di macerie”.
La situazione, come si vede, muta di settimana in settimana e il tunnel continua a restare sempre più buio. È certo che i pensieri si accavallano, intorno a quel concetto di come inventarsi un lavoro - diceva Cracco - dove la gravità non sta tanto nelle distanze dei clienti all’interno del locale, quanto nella fiducia di quella potenziale clientela, che è impoverita e impaurita.
E fra le due strade che ipotizzavamo all’inizio, Carlo? Dining bond o Delivery? “Non esistono scelte univoche a mio avviso, buone o cattive. Esistono strade diverse, l’importante è mantenere un legame con la clientela. Noi per esempio abbiamo tenuto vivo lo Shop on line che ha dato buoni riscontri; ora magari lo implementeremo coi piatti. In quanto ai voucher può essere una soluzione per chi riesce. Noi li facevamo già 9 anni fa e abbiano continuato a farlo, anche se era una situazione diversa”.
La nostra chiacchierata finisce qui: uno scambio di messaggi, telefonate che si sono rincorse per tutto il pomeriggio, fino all’ultimo di Cannavacciuolo di ieri sera.
Cresce la nostra guida al delivery che sta raggiungendo le 400 unità attive e questo è un segnale che la ristorazione italiana non vuole mollare, nonostante qualche analista abbia ipotizzato che nel prossimo futuro le grandi catene acquisteranno le ceneri dei nostri locali migliori, portando a una standardizzazione, mentre sopravvivranno le osterie, di antica o moderna concezione.
Strano tuttavia che nessuno – dico nessuno (e le speranze che accada al Governo sono assai poche) ponga l’accento sul valore della nostra cucina, che è da difendere. Fino a ieri alimentava il turismo, si faceva temere sulle piazze del mondo tanto da esser imitata, oggi è un esercizio da normare, quasi che non abbia un contenuto che va comunque difeso. Oppure siamo davvero in un film o seduti davanti ad un talent. Quando anche l’ultima puntata di questo strano Masterchef finirà, ci potremo girare dall’altra parte. Ma così non si fa. Non si fa. Non sarebbe l’Italia.
P.S. Nel frattempo, il nuovo Osservatorio Lockdown realizzato da Nomsima per la ripresa economica ci informa che da una ricerca effettuata il poter andare a cena fuori è in cima alla lista delle cose da fare appena finita l’emergenza per il 43% degli italiani. Una maggioranza consapevole che la ripresa sarà graduale e improntata, almeno per i primi tempi, al distanziamento sociale reso necessario dalla lotta al Covid-19. Un desiderio preceduto solamente da quello di riabbracciare i propri cari con il 49%. Al terzo posto, invece, 1 italiano su 3 aspetta di fare un viaggio che, nel 70% dei casi avrà come destinazione una località di relax e svago in Italia. Secondo l'Osservatorio, questo desiderio di mangiare fuori degli italiani ha portato negli ultimi 21 giorni "3 italiani su 4 ad ordinare cibo da asporto, in particolare il 64% ha preferito pasti pronti con consegna a domicilio”. (Ansa)