Dialogo con Francesco Tava dell’omonima azienda di Mori
Francesco Tava da Mori ha 40 anni e una figlia che si chiama Vittoria. Quando ne aveva 30 non pensava di tornare in Trentino, lui laureato in filosofia a Padova, e nemmeno di dare significati diversi al nome vittoria. Ma vinto ha vinto, non ci sono dubbi, visto che oggi, in qualunque cantina ti trovi scopri che già ci sono da qualche parte le anfore. Oppure stanno arrivando.
È una moda come lo era la barrique agli inizi degli anni Ottanta?
Ni – risponde lo stesso Francesco – ma certo gli errori del passato sono oggi un tesoro anche di fronte a questo nuovo fenomeno.
Ma andiamo con ordine.
Francesco fa parte di una famiglia che produceva ceramiche da tre generazioni e l’azienda si era specializzata nelle stufe. Una piccola azienda, che comunque sosteneva la famiglia, tant’è che quando il papà inizia ad avere problemi di salute, Francesco è costretto a rientrare per tenere in piedi l’attività. Poi succede il caso, che sembra qualcosa di misterioso, perché viene invitato a una degustazione di vini di Elisabetta Foradori, che in Trentino, da tempo s’era messa in discussione, arrivando a sposare la biodinamica e anche la vinificazione in anfora. Era il 2012 e quei discorsi sui pro e i contro dell’uso di questi contenitori non lo avevano lasciato indifferente. Come a dire: “Ma io produco ceramiche, potrò mai fare qualcosa per il mondo del vino?”.
Ne parla con il suo vicino di casa, che è direttore ed enologo alla Cantina sociale di Mori Coni Zugna e subito Luciano Tranquillini lo smonta, parlandogli chiaro in stretto dialetto: “Ma se quei contenitori sono stati abbandonati, un motivo ci sarà stato no?”.
Ora, come si fa a smorzare l'entusiasmo a un trentenne che su quelle anfore inizia a non dormirci la notte? Così aperitivo dopo aperitivo, anche Luciano cede e comincia a metterci la testa. Se gli chiedo perché tutta questa insistenza, Francesco mi dice:
Ma tu sai che la ceramica è duttile? Col trattamento termico si presta alle botti come agli scudi dello Shuttle.
Quindi?
Quindi ho detto a Luciano: "dimmi cosa hai bisogno esattamente per migliorare un vino e io ci studio".
Nel frattempo lui va a vedere come sono fatte le anfore in Spagna, in Georgia e persino in Toscana. E nasce quello che lui chiama un “vaso vinario” adatto alle esigenze di un vino che mantenesse la sua integrità. Il primo esperimento, nel 2013, è con uno Chardonnay bio della cantina di Mori prodotto in alta quota. E quando l’enologo Tranquillini valuta il risultato non ha più dubbi: quel vino si chiamerà Vittoria!
Ma che vino era?
Era un orange wine – se dobbiamo definire un campione – ma senza le note ossidative che avevano altri vini simili. Il segreto, allora come oggi – racconta Francesco– è stato lavorare sulle porosità e sulla chiusura efficace, oltre alla facilità di movimentazione. Se un’anfora ha un’eccessiva porosità abbiamo ossidazioni fuori controllo e addirittura il vino penetra nella parete creando problemi dal punto di vista batteriologico.
E questo era il tallone di Achille di molte anfore che venivano utilizzate spesso acriticamente. C’era poi il problema dell’impasto delle ceramiche, perché la produzione era appannaggio di tre o quattro multinazionali, ma a Bassano del Grappa, l’incontro con le Ceramiche Cecchetto fece al caso suo, per fornire impasti sartoriali, adatti a un vino piuttosto che a un altro.
Questa azienda artigianale ci ha permesso di ottenere le porosità ottimali e di calibrare i vasi vinari secondo le esigenze delle varie cantine.
Il suo metodo di lavoro diventa dunque subito rivoluzionario se è vero che dal 2015 il principale cliente di Tava è la Francia (il 70% del mercato). E qui diventa quasi inutile fare i nomi dei suoi clienti, perché ci sono tutti i grandi, da Château Margaux a Château Cheval Blanc, per farne alcuni.
In poco tempo le anfore trentine prendono la strada del Sudafrica, della California, dell’Australia e anche di qualche regione italiana che si distingue. Al primo posto, ad esempio, c’è il Piemonte (e chi lo sapeva? Sempre poco espansivi questi piemontesi che ancora sono diffidenti nel far sapere cosa succede nelle loro cantine) seguito dalla Campania.
Dal 2015 ad oggi la Tava ha raddoppiato tutti gli anni ed è pronta la nuova sede a Mori per stare almeno sui 1.200 pezzi l’anno con anfore che vanno dai 320 ai 16 ettolitri. Anche il costo non è proibitivo, se pensiamo che un’anfora va a costare 4 euro al litro e potenzialmente potrebbe essere eterna.
All’inizio dell’avventura in Italia, tuttavia, si diceva che le anfore di Tava erano più adatte ai vini bianchi.
Sì è vero, perché i bianchi avevano i problemi maggiori con la porosità, ma in verità i nostri clienti principali sono stati gli chateaux bordolesi.
Si può dire allora che l’anfora sia diventata una moda come lo era la barrique? Lo chiedo ancora a bruciapelo e Francesco risponde:
Ne ha tutte le fattezze. Tutti la vogliono e dopo l’acquisto capita che ti chiediamo cosa debbano fare. In verità, oggi c’è più un approccio scientifico allo strumento, per cui sono coinvolte università, enologi che sviluppano la ricerca. In alcuni casi, come nell’Amarone, l’anfora viene utilizzata per il pre-imbottigliamento, dopo aver messo il vino in barrique. Ma il fatto di lasciarlo sei mesi in anfora, armonizza meglio il prodotto.
E quindi cosa vedi all’orizzonte?
Il mio sogno è che fra 10 anni si debba vendere l’anfora a chi ha una certa idea di vino, ma così anche l’inox o il cemento.
Nel tuo sogno selettivo però hai omesso il legno...
Ma credo che l’anfora sia stata utile anche ai produttori di legno, coi quali collaboro, fra l’altro. Certo una barrique nuova non è nelle mie grazie, mentre i legni più grandi hanno un senso diverso.
Questa storia dell’anfora mi ha fatto tornare in mente la legge della ciclicità degli eventi, che si ripetono nella storia.
Sì, stiamo tornando al passato, perché l’anfora è un contenitore tradizionale, ma accanto ad essa ci sono varie spinte, come può essere la sostenibilità, se pensiamo al minor uso di legno. Un’anfora se lavata con un detergente enzimatico come quello che consigliamo noi ha poi una vita lunghissima.
Cosa vuoi fare da grande?
Tante cose: la nuova fabbrica sarà particolarmente importante anche rispetto a nuovi progetti di integrazione del lavoro in cantina, oltre alle anfore. Quando si mette in moto qualcosa che sviluppa ricerca, l’avventura diventa avvincente.