Dizionario minimo dell’uovo: da “a la Benedict” fino a shakshuka, le preparazioni da non scordare
Che sia di Colombo o di Cracco, l’uovo ha sempre esercitato un fascino infinito su chef, appassionati o semplicemente sugli esseri umani alle prese con la necessità quotidiana di alimentarsi.
In occasione della Pasqua, ecco il nostro dizionario minimo per orientarsi tra le principali preparazioni a base di uova (di gallina). Tenendo conto che gli abbinamenti sono sempre con un vino bianco. E qui, davvero c’è da sbizzarrirsi.
à la Benedict: chi è stato in un grande albergo internazionale l’ha sicuramente sperimentato. Si dice che anche una divina come Marilyn non potesse farne a meno (non sappiamo se con due gocce di Chanel o no). Si tratta in realtà di uova in camicia servite su pane tostato, bacon e salsa olandese. Vi basta per tutta la giornata.
bazzotto: è l’uovo sodo non sodo, perché cuoce in acqua bollente ma non abbastanza perché il tuorlo si addensi.
camicia: se vogliamo dirlo elegantemente scriviamo poché, ma quel sottile strato di albume che avvolge come una seta il tuorlo liquido continua a sembrarci sempre di più un morbido indumento. Il banco di prova più difficile che se ben realizzato è quasi carnale.
coque: o bazzotto al quadrato. Cuoce ancora di meno e si mangia al cucchiaio.
frittata: sbattuto prima, amalgamato di solito con altri ingredienti, fino a dove può arrivare la fantasia, e cotto su entrambi i lati. Va bene anche fredda, nel pane.
mutabbak: tra gli streetfood più diffusi al mondo, probabilmente viene subito dopo il kebab. Potremmo descriverlo come un pancake con le spezie ripieno di tutto un po’, a cominciare dalla carne. Per enumerarne le diverse versioni ci vorrebbe un libro.
occhio di bue: ci piace più così che nella dicitura al tegamino, anche se sono la stessa cosa. Il segreto è mantenere il tuorlo il più morbido possibile con il bianco intorno ben addensato.
omelette: non chiamatela frittata, per due motivi ben precisi, si cuoce solo da un lato e si chiude a libro con gli ingredienti appoggiati su un lato e non mescolati.
pidan: è il famoso uovo dei cent’anni di antica origine cinese. Cosa serve per prepararlo? Una mistura di té, calce e cenere (oggi in realtà si utilizzano sale, carbone e ossido di calcio) e tanto tempo. Anche se non proprio cento anni, perlomeno qualche mese. Il risultato è per gli amanti delle fermentazioni estreme
sodo: non serve molta scienza basta avere tempo. Si aspetta fino a quando non è ben cotto e il guscio quasi si stacca da solo, pena non riuscire a sbucciarlo.
stracciatella: sono il piatto unico romano per eccellenza. Le uova si strapazzano direttamente nel brodo bollente. E la fame è un ricordo.
strapazzate: la velocità di polso è essenziale, bisogna amalgamare in padella fino a che non siano ridotte a una miriade di deliziosi straccetti. Si possono mantenere più o meno cremose a seconda dei gusti.
tamagoyaki: il nome ricorda un po’ il tamagochi e in effetti per comporre i vari strati cotti in diversi momenti ci vuole devozione e un pizzico di follia. Fanno il resto salsa di soia o dashi. Basta un poco di umami e l’uovo va giù.
tortilla: sta alla Spagna come le trofie con il pesto alla Liguria. Si prepara con patate cotte precedentemente amalgamate alle uova e ad altri ingredienti a fantasia. Da Longobardi viene lanciata la sfida con la frittata di patate. Chi vincerà?
shakshuka: tradotto “mistura”. In effetti per immaginarlo dovete pensare a pomodoro, verdure varie, spezie e poi (almeno) due belle uova rotte sopra a fine cottura. In Piemonte rilanciamo con l’uovo che si rompe sulla bagna cauda a fine cena con il coccio ancora caldo. Per spiriti raffinati.