L’antica arte dell’accoglienza come “medicina” per il cliente stranito e impaurito
Si riaprono i locali ma c'è incertezza nelle persone. La consapevolezza che il virus è ancora in circolo fa tentennare le persone a riprendere gli svaghi usuali.
Eppure la voglia di stare in spazi diversi dalla nostra casa, di gustare sapori che ci facciano viaggiare, di vedere ed essere visti da persone che non sono i nostri stessi familiari, ci spinge ad avventurarci alla ricerca di una connessione sociale e sensoriale.
In un locale pubblico il modo di essere, i vestiti, i pensieri, sono diversi da quelli di casa.
La rappresentazione di quello che vorremmo essere si attua ogni volta che decidiamo di uscire, di posare i nostri corpi e parole in spazi accoglienti che gratifichino voglie diverse.
Siamo esseri sociali, è un bisogno vitale l'incontro con l'altro.
Ma ora, si frappone a questo, la paura di un contagio, per cui l'altro può diventare un nemico. Come fare allora per andare oltre la siepe in sicurezza e godere di un diversivo che assolve un bisogno di leggerezza e di soddisfazione primaria data proprio dal cibo?
Oltre le barriere date dallo spazio imposto e le nuove norme alle quali bisogna adeguarsi, conta l'accoglienza del gestore, la sua attenzione all'altro, la capacità di costruire per il suo ospite non solo un luogo curato, una cucina speciale, dei prodotti eccellenti, ma anche uno spazio mentale nel quale accogliere oltre il cliente anche le sue incertezze di questo particolarissimo momento di transizione.
Quest'arte dell'accoglienza, si impara e non si improvvisa, richiede spirito di osservazione, ascolto, restituzione. Il risultato è sempre di grande successo, poichè l'altro si sente accudito, protetto, oltre che nutrito.
In questo periodo che ci ha visti di fronte all'impensabile, abbiamo vissuto un'esperienza particolarissima che ci vede ancora titubanti eppur desiderosi di ricominciare.
Contro le barriere del distanziamento sociale conta la capacità dle gestore di costruire uno spazio di accoglienza, anche mentale, per il suo ospite Donatella Caprioglio - psicoterapeuta, docente di Psicologia dell’abitare
Abbiamo bisogno di qualcuno che metaforicamente ci prenda per mano, che assuma un ruolo di ponte tra il privato e il mondo esterno, che ci aiuti con la sua cura, attenzione, competenza, a riprendere gusto alla vita.
I gestori di locali pubblici possono farlo, sanno che un cliente richiede per prima cosa di essere trattato con riguardo, che significa rispetto, con fierezza per averlo come cliente, con intelligenza nel capire cosa gli è più urgente.
Sentirsi come a casa ma in mezzo alla vita E' un'arte che farà la differenza proprio adesso, che abbiamo bisogno di un'accoglienza sapiente che ci renda la stessa sicurezza di sentirsi come a casa ma in mezzo alla vita.
Sappiamo però che questi sentimenti di preoccupazione del gestore, se non sono condivisi, elaborati, possono diventar anch'essi virali, con ricadute sulla famiglia e sul lavoro.
Cosa fare allora, adesso che ancora permane l'incertezza ?
Il rischio è di ignorare queste emozioni, presi dall'ansia del fare, non dare spazio al nostro sentire, pensare che magicamente tutto si rimetterà al proprio posto. Ce la possiamo fare forse accresciuti di una nuova consapevolezza del nostro ruolo professionale. Dell'aiuto che noi stessi possiamo dare. Sarà un arricchimento umano.
La risposta a questa reale preoccupazione è parlarne insieme, trovare soluzioni non dimenticandoci però delle nostre emozioni legate alla responsabilità di gestire il nuovo periodo.
Un'opportunità che riporti la centralità alla persona e al suo benessere interiore.
In questa fase delicata bisogna avere delicatezza per le persone.
Il supporto digitale ci aiuta in questo, per condividere esperienze, guardare in maniera costruttiva il futuro.
Per parlare di questa nuova partenza ci incontreremo nel Webinar di giovedì 5 giugno (ore 11.00)