Nel delta del Po, intorno all'anguilla e alla sua lavorazione, si è costituita non solo un'economia, ma una vera e propria civiltà parte di un ecosistema tra mare e palude. Scopriamo, in collaborazione con Plenitude + Evolvere, Comacchio e la sua civiltà dell'anguilla
Negli anni Sessanta, metà degli abitanti di Comacchio, nel Ferrarese, era costituito da pescatori. O, meglio, da coltivatori di anguilla che sono arrivati a impiegare oltre 30 mila ettari di specchi d'acqua in questa attività condotta con sistemi elaborati in maniera collettiva, comunitaria. Un'epopea, iniziata secoli fa, che ancora oggi ha lasciato importanti testimonianze e che, soprattutto, racconta della nascita di una comunità con propri ritmi e rituali: il tempo scandito dalle migrazioni dell'anguilla, dalla cattura e dalle attività di preparazione all'interno della manifattura, necessarie per commercializzarla ben oltre la laguna.
L'anguilla e il Mar dei Sargassi
Le anguille sono considerate il pesce misterioso per eccellenza, capace di affascinare gli scienziati di ogni epoca: solo recentemente, infatti, è stato svelato il mistero della loro riproduzione, per secoli oggetto di teorie anche fantasiose, dato che nessuno aveva mai visto un'anguilla deporre le uova. Oggi è stato accertato che la riproduzione necessita di un viaggio lungo migliaia di chilometri e un impegno che occupa praticamente l'intera esistenza. Tutte le anguille, infatti, nascono nel Mar dei Sargassi. Da qui poi, dopo un viaggio che dura da uno a tre anni, raggiungono l'Europa e le coste americane: le femmine risalgono lungo il corso dei fiumi, i maschi restano alla foce ad attendere. Quando queste raggiungono la maturità riproduttiva, ridiscendono lungo il corso del fiume e, seguendo il loro istinto, fanno ritorno al luogo di origine, il Mar dei Sargassi, per riprodursi e quindi restare lì fino alla fine della vita. La cattura avviene durante questa migrazione utilizzando un'antica tecnica di pesca basata sul lavoriero, un manufatto a forma di V, costituito da pali e griglie, dove vengono bloccate le anguille.
Comacchio - il delta del PoI valligiani che pescavano le anguille erano anche profondi conoscitori di queste zone paludose, del loro ecosistema, dei diversi animali che le popolavano. Avevano la capacità di orientarsi in aree sovente nebbiose e umide, riconoscendo le piante e le anse, i paesaggi disegnati dal Po. I valligiani erano una comunità costituita oltre che dai pescatori di anguille, anche dagli artigiani che costruivano le imbarcazioni e le nasse, dagli uomini e dalle donne che a Comacchio lavoravano l'anguilla preparandola per la commercializzazione, dato che la sua pesca durava solo da novembre a gennaio. Poi dalle botteghe che le vendevano, dai commercianti che le portavano nei diversi mercati del pesce, dagli osti che le cucinavano.
La lavorazione dell'anguilla
Il procedimento di cottura e marinatura messo a punto a Comacchio è uno dei più celebri. Le anguille, dopo la cattura, erano porzionate e cotte sugli spiedi in speciali forni. Terminata la cottura venivano riposte in vasi con una speciale marinatura a base di aceto, pepe, aglio e chiodi di garofano per conservarsi e insaporirsi. A Comacchio sorge la Storica Manifattura dei Marinati che presenta il ciclo completo della lavorazione di questo pesce osseo, dalla Calata dove arrivavano le barche dei pescatori alla Sala dei Fuochi con i grandi camini per la cottura. È ancora attiva per parte dell’anno e ha una produzione limitata di anguilla marinata in stagione, mentre per i restanti nove mesi è un museo di cultura materiale dove si può rivivere, tra immagini e reperti storici, il rito collettivo della lavorazione e della conservazione di questo pesce. Un lavoro costruito collettivamente che rappresentava per l'appunto la fonte di energia di un'intera comunità mettendo in moto una vera e propria economia che ha permesso a Comacchio di espandersi e svilupparsi negli ultimi due secoli.
L'energia della comunità
La storia della comunità dell'anguilla è una delle tante storie di comunità italiane che hanno trovato la loro energia nel cibo. Questo è il tema scelto con Plenitude + Evolvere per raccontare il mondo delle comunità energetiche rinnovabili, un nuovo modello di consumo e fruizione dell'energia elettrica che diventa anche un modello di aggregazione innovativo e maggiormente inclusivo in un'ottica di sharing economy e di lotta alla povertà energetica.
Le comunità energetiche rappresentano un insieme di produttori e consumatori di energia che autoconsumano, individualmente e collettivamente, l'energia prodotta da fonti rinnovabili. A questo link è possibile leggere l'approfondimento dedicato alle Comunità energetiche Rinnovabili (CER) e alla loro costituzione e funzionamento.