Andrea Desana dedica un libro al padre Paolo, ricordandone non solo la grande riforma, ma gli anni della guerra e la dura esperienza del lager
"Una grande quercia con radici diffuse, profonde e forti come lo sono stati i suoi principi e le sue azioni".
Poche parole che fanno parte dell'orazione funebre pronunciata da Don Gigi Gavazza il 22 gennaio 1991 durante le esequie di Paolo Desana, l'architetto delle Doc e del sistema di tutela e valorizzazione del vino che ancora oggi non soltanto utilizziamo, ma risulta per molti versi all'avanguardia.
Questa immagine della quercia che si allarga con le sue radici è ancor più bella se confrontata con il lavoro del senatore piemontese che non solo promosse la legge sulle denominazioni d'origine ma ne curò l'attuazione per oltre due decenni. Questo significa che i numeri mirabolanti che ancora oggi possiamo sostenere a tutela della biodiversità della vigna italiana sono anche frutto di quel lungo lavoro che ha permesso il passaggio da una viticoltura di sussistenza - se si eccettuano alcune realtà virtuose - orientata quasi tutta allo sfuso e all'au
toconsumo a una cultura del vino che diventa anche un motore economico fondamentale nel Paese.
Fin qui però solo un aspetto della vita di Desana, il più conosciuto. L'altro meno conosciuto - e questa la novità del bel libro edito da edizioni Remedios - emerge chiaramente fin dal sottotitolo: "Storia di due vite tra lager e vini Doc". Andrea Desana infatti mette in luce l'avventura del venticinquenne ufficiale italiano all'alba dell'8 settembre del 1943 quando coraggiosamente insieme ad altri 650mila giovani soldati italiani decide di dire "No!" al nazifascismo e subire le torture e le umiliazioni del lager pur di non aderire agli eserciti repubblichini.
Una foto di Paolo Desana tratta dal libro Paolo Desana viene deportato in Germania, subisce il trasferimento in diversi lager in Polonia e in Germania, e la prigionia prima della Liberazione nel 1945. Così il libro su Paolo Desana è anche lo spunto per far rivivere la memoria di quei 650mila IMI, Internati Militari Italiani, di cui la memoria venne a lungo dimenticata e di cui ancora oggi si sa molto poco. Lo stesso Desana, racconta il figlio, fu restio a parlarne per almeno quattro decenni della sua vita, condividendo la stessa sorte di molti altri commilitoni che faticavano a ripercorrere un'esperienza così tragica.
Il racconto di quei giorni è oggetto degli ultimi giorni di vita di Paolo Desana al figlio Andrea, come per trasmettergli il valore fondamentale di quei giovani che con il loro sacrificio contribuirono a fondare l'Europa dei popoli e delle nazioni, un'idea ben più alta e più importante della sua realizzazione storica. La storia di Paolo Desana va ancora oltre perché coincide anche con quella del gruppo di ufficiale che decisero di scioperare contro i lavori forzati - fatto forse unico nella storia della prigionia - e fu per questo condannato a morte, costretto a scavarsi la fossa e poi, invece, imprigionato in una sorta di loculo. Il racconto durissimo si fa avvincente per il portato di significato e di storia che porta con sé: il peso e la potenza di quei No che permisero una seppur parziale riabilitazione dell'Italia.
Due vite, entrambe interessanti ed entrambe legate alle radici di questa quercia, raccontate con l'occhio da storico, del figlio Andrea, in un libro che è una testimonianza ancor più preziosa.