Disciplina ed eleganza sono gli ingredienti base dello stile giapponese

Ho partecipato l’8 maggio alla serata organizzata dalla maison di sakè Dassai al ristorante Wicky’s Wicuisine di Milano in collaborazione con lo chef Wicky Priyan.

Ero incuriosito da Wicky, di cui avevo letto opinioni sempre positive ma che lo incastravano nella definizione di “fusion” che, a pelle, mi sembrava gli stesse stretta. Conosco poi i sakè Dassai, che ho avuto modo di bere piacevolmente in Italia e in Giappone.



All’ingresso del ristorante Hiroshi Sakurai, il patron della casa, giunto da Parigi dove aveva inaugurato un progetto con Joel Robuchon, ha accolto gli invitati in kimono, ma senza eccessiva formalità, in modo amichevole e rilassato. Quasi subito si è cominciato a bere con un giro di sakè sparkling e questo mi ha rasserenato. Odio le presentazioni e i convenevoli a bocca asciutta! 
Se il sakè diventerà la bevanda del futuro, non sarà solo per la moda della cucina giapponese, ma anche merito di alcuni imprenditori come Hiroshi Sakurai, di Asahi Shuzo, la cantina di Yamaguchi produttrice del sakè Dassai.



Era il 1990 e le vendite di sakè erano in crisi quando Hiroshi decise di alzare la posta. Con il nuovo marchio Dassai, verrà prodotto solo il “Junmai daiginjô”, un sakè di puro riso con chicchi massimamente levigati (minimo 50%), da kôji selezionati e da acqua purissima estratta da fonti locali. Praticamente un sakè da degustazione. Nel 1992 la maison crea il Dassai 23, dove ogni chicco perde il 77% del suo volume per utilizzare esclusivamente la piccola perla del cuore, una finezza mai raggiunta prima in Giappone.
 Il domani è di chi lo sente arrivare.
 Oggi produce 7 milioni di bottiglie esclusivamente di sakè di altissima qualità ed ha 230 dipendenti. In questo i produttori di sakè sono avvantaggiati perché, a differenza del vino, dove conta il terroir, il gusto lo si ottiene in cantina.
 Il riso, ancorché della miglior cultivar, come lo Yamada Nishiki usato da Dassai, può essere conservato ed è possibile, per raggiungere questi grandi numeri mantenendo una produzione di eccellenza, unire alle antiche tradizioni le moderne tecnologie, senza togliere naturalezza al prodotto.



Naturalmente ben predisposto dall’iniezione alcolica, dalla sala di ingresso, dove gli ospiti erano stati così cortesemente ricevuti, sono passato a quella successiva con la cucina a vista ed il lungo bancone di legno dello chef dove i privilegiati, secondo l’usanza giapponese, possono mangiare guardando il cuoco e chiacchierando piacevolmente. Sulla sinistra, appese alla parete in una teca di cristallo, due katana centenarie, a destra una grande calligrafia con una sola parola: Tenzo.

Il Tenzo è il cuoco dei templi zen. “La funzione del Tenzo è di preparare i pasti per i monaci. Il Tenzo realizza la Mente-che-Ricerca-la Via rimboccandosi le maniche (Dōgen)”. E’ il secondo in gerarchia dopo il Grande Maestro e, quando ho avuto la fortuna di passare 2 giorni al tempio di Eihei-ji, la cena del Tenzo è rimasta come uno dei ricordi indimenticabili della mia vita. 



A questo punto è diventato indispensabile intervistare Wicky. Leggere quel che è stato scritto su di lui e sulle sue molteplici vite dai vari blogger e recensori è meglio di un romanzo. Vi lascio quindi questo piacere. 
Vi dirò solamente che è di origine cingalese, che lo zio era ambasciatore in Giappone, il babbo medico ayurvedico con una tradizione centenaria in famiglia, che dopo 22 anni in Giappone, dove ha appreso la cucina kaiseki da grandi maestri come Kan di Tokyo e Kaneki di Kyoto, ora vive da 12 anni in Italia, ha una moglie giapponese e una bellissima bambina. Fisicamente assomiglia al Gandhi di Ben Kingsley, ma i suoi modi hanno un’eleganza guerriera che mi ricorda certi personaggi di Salgari. Forse è l’effetto dei magnifici coltelli di grandi dimensioni che, con orgoglio, mi ha mostrato. 
Gli rivolgo la solita domanda su cosa crede sia l’essenza della cucina giapponese. “La disciplina”. E’ sinora la risposta più convincente che abbia ricevuto. La mia ricerca potrebbe anche finire qui.



Il menu è un’avventura:
 Tartare di gamberi gobbetti sardi con salsa di soia sfumata con sakè e mirin.
 Sgombro giapponese di Kyushu marinato con aceto di riso, cipollotto di Tropea saltato in padella, salsa di umeboshi, olio di egoma e polvere di salsa kombu. Umami al massimo!
 Nel Sushi Kan (otto pezzi di nigiri su base di riso bianco edomae) si trovano: angus con salsa al rosmarino e tartufo nero, salmone con zenzero e menta, gambero rosso con pomodoro datterino, capasanta giapponese con yuzu e peperoncino, ricciola e tonno in salsa 5 continenti, merluzzo con bottarga e mazzancolla con pesto di capperi di pantelleria.
 Maki Os buus: maki di riso giallo allo zafferano con tenpura di verdure e polpa di granchio guarnito con osso buco alla milanese e chips di parmigiano.
 Wikakuni Kyoto Burger con maialino nero dei Nebrodi lessato per 16 ore secondo la tecnica del Ryoutei Kaneki, porri caramellati e spinaci (ora è distribuito esattamente come al ristorante in un elegante confezione sottovuoto e si troverà in gastronomia).



Non fatevi ingannare dagli ingredienti; le esecuzioni della cucina di Wicky, pur personalissime, sono assolutamente giapponesi.
 Pochi amano una patria e una cultura come quelli che, pur non essendoci nati, se la sono scelta; lo dimostra la legione straniera di cuochi giapponesi che hanno imparato in Italia ed esercitano in Giappone con un’efficacia ed una maestria incredibili, promuovendo i nostri prodotti ed il nostro stile di vita.
 Così inserisco con gioia Wicky Priyan fra i migliori cuochi giapponesi che ho avuto la fortuna di incontrare. I sakè serviti in abbinamento, dopo lo sparkling iniziale, sono stati Dassai 50 fruttato ed adattabile a moltissimi piatti, Dassai 39 agrumato e lungo in bocca, perfetto per le pietanze di mare e il famoso Dassai 23, il più raffinato e complesso. Tutti buonissimi.
 Alla fine ci è stata concessa una dose omeopatica del Dassai Beyond (oltre), ultima creazione, prodotto in sole duemila introvabili bottiglie, più puro del cristallo e più caro del diamante, ogni etichetta scritta a mano da un grande calligrafo su carta tradizionale Mino Washi.
 Allora, ebbro e felice, mi sono avvicinato al sig. Sakurai e gli ho raccontato (con l’aiuto dell’interprete) la storia delle nozze di Cana: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono. Tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono” (Gv 2:10)”. Non so se avrà capito, ma mi sono guadagnato in regalo la bottiglia vuota.

P. S. Il 14 maggio sono ritornato al ristorante di Wicky. Ho mangiato, coccolato oltremisura, sul bancone ma, di questa cena strepitosa, per non suscitare troppa invidia, non vi dirò nulla.

DASSAI 
ASAHI SHUZO CO.,LTD

2167-4, Osogoe, Shuto-machi, Iwakuni shi, Yamaguchi-ken 742-0422 GIAPPONE

TEL +81-827-86-0120


WICKY’S WICUISINE

Corso Italia, 6 20122 MILANO

TEL +39 02 89093781
www.wicuisine.it

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