Per i Dialoghi del Vino Paolo Massobrio intervista Marco Caprai
Dici Caprai e pensi al Sagrantino, ma soprattutto a un modo di intendere il vino estremamente moderno di un'azienda che tra le prime ha saputo guardare alle potenzialità della rete e alla sostenibilità a 360 gradi. Oggi Caprai significa un milione di bottiglie prodotte e 160 ettari a vigneto di proprietà. La gamma dei vini è vasta: 22 referenze, di cui 8 bianchi compreso un brut, e 14 rossi, che annoverano vitigni tradizionali e anche internazionali, benché il Sagrantino sia prodotto in tutto e di più delle proprie declinazioni fino alla punta che è rappresentata dal “25 anni”, così chiamato perché prodotto per la prima volta con l’annata 1993 per celebrare il 25° anniversario dell’azienda.
Il Sagrantino, come vino, ha tuttavia almeno 400 anni, certificati da testimonianze storiche, e durante il Medioevo, grazie all'impegno dei frati e dei monaci, l'importanza del vitigno si afferma sempre più. Parte del suo nome "sacro" potrebbe avere queste radici religiose oppure derivare dal fatto che fosse un vino da messa, o semplicemente, "da sagrestia".
Bisogna partire proprio da questo vino, antico, radicato nel territorio, per capire la modernità di una realtà come l'Arnaldo Caprai, che nasce come azienda leader nel settore del tessile, ma negli Anni Ottanta investe anche sul vino e su una spinta innovativa mai vista prima in Umbria. Perché intorno al Sagrantino c'è ricerca, molta, che ha visto Caprai collaborare subito con l'Istituto di Coltivazioni Arboree della Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Milano e con il Parco Tecnologico dell'Umbria su selezione clonale, applicazione di moderne tecniche agronomiche, studio del patrimonio genetico e zonazione. Ma c'è anche l'adozione di un programma di sostenibilità, New Green Revolution, seguito da sette importanti cantine di Montefalco, che è diventato il primo protocollo italiano di sostenibilità territoriale certificato in campo vitivinicolo. Una sostenibilità declinata anche nelle sue ricadute culturali e sociali ed è questo che oggi emerge di più nella modernità di questa azienda. Come ben rappresentato dal programma #CAPRAI4LOVE, raccolta fondi promossa per il recupero di opere d'arte territoriali, dagli affreschi di Benozzo Gozzoli nell'abside della Chiesa Museo di San Francesco al restauro dell'arco ligneo del Museo di San Francesco. Oppure come ben esemplificato dal progetto con la Caritas di Foligno che lo ha portato ad avere due terzi dei dipendenti in vigna costituito da richiedenti asilo. Un progetto riuscito, ripreso addirittura da una doppia pagina sull’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera del 9 marzo scorso, che ripercorre proprio le tappe di questo coraggioso processo di integrazione.
Marco Caprai, figlio di Arnaldo, nasce sotto il segno del Capricorno in un’annata speciale per il vino: il 1964. E diventa amministratore delegato dell’Arnaldo Caprai Società Agricola srl nel 1988. L’anno dopo avvia subito il “Progetto Sagrantino” con l’università, instaurando una collaborazione con il professor Leonardo Valenti tutt’ora in essere. Ma un suo punto di orgoglio è anche la fondazione e lo sviluppo della “Strada del Vino del Sagrantino”, esempio riuscito di efficace marketing territoriale. Tanti i riconoscimenti ricevuti: dal Sagrantino 25 anni come miglior vino del 2005 secondo Milano Finanza alla nomina, nel 2006, da parte di Serena Southcliffe, nel panel dei produttori che rappresentano il futuro dell’enologia mondiale. Nel 2012 Legambiente premia il suo progetto “Grandi cru di Montefalco” per l’"Innovazione Amica dell’Ambiente", mentre The Wine Enthusiast la nomina miglior cantina europea. Nel 2013 viene certificato dall’ente CSQA, divenendo il primo protocollo di sostenibilità territoriale in campo vitivinicolo. L’azienda è divenuta anche oggetto di studi ed è stata messa in grande rilievo come best practice durante l’Expo 2015.
Ora, con Marco Caprai ci conosciamo da tanti anni e lui nel mondo del vino dice d’essersi trovato a 7 anni, quando il padre decise di affrontare l’avventura a Montefalco.
Ma quando è scattata la spinta a occuparsene in prima persona?
Successe nel 1986, che era l’anno dello scandalo del vino al metanolo, e nessuno in azienda voleva o poteva andare a Vinitaly e presidiare lo stand. Al che mio padre mandò il sottoscritto: avevo 22 anni.
E cosa hai pensato?
Che peggio di questa situazione non avrei potuto vivere, per cui potevo solo migliorare...
Ma la tua formazione nel mondo del vino come si è creata?
Be', allora leggevo quello che scriveva Veronelli, cercavo di capire, mentre mio padre, sempre secondo il metodo di andare in acqua che impari a nuotare, mi mise dentro al Consorzio di Tutela del Sagrantino.
Una promozione?
Mica tanto: allora c’erano lotte intestine e l’imprenditore, come era la nostra rappresentazione, veniva guardato con sospetto.
La provincia ha il suo fascino, ma se non stai attento ti schiaccia dentro le sue logiche vero?
E infatti io andai a cercare confronti all’Università di Milano e mi presi un enologo che faceva dei vini buoni in Toscana: Attilio Pagli.
In questo modo, ossia giocando la carta della distinzione, Caprai è diventata un punto di riferimento, giusto?
Sì, ma è importante anche il Consorzio perché in quegli anni formalizzammo la richiesta per ottenere la Docg e piano piano il mercato ha iniziato in qualche modo a riconoscerci.
Quante cantine c’erano allora e quante sono oggi?
Allora erano meno di dieci, oggi sono 80, ma la cosa più importante è che possiamo vantare una destinazione enoturistica di livello a Montefalco, con ristoranti e realtà ricettive di un certo interesse. (P.S. confermo dopo che ho scoperto che il mio terzogenito questa estate ha scelto Montefalco come destinazione di un itinerario. Ndr)
Tu hai curato molto questo aspetto, si vede dalle proposte varie sulla home page del vostro sito internet, a chi ti sei ispirato?
Alla Napa Valley. Ci andai negli anni Ottanta e capii che anche noi potevamo fare cose straordinarie.
Allora cosa frena, come immagine, quel rilancio costante del Sagrantino?
Un po’ l’isolamento della regione, poi il carattere della gente e anche un certo modo di fare politica che ha imperato per anni, dove l’idea di sistema partiva dal pubblico innanzitutto.
E invece?
Invece c’è un’altra strada che è il coinvolgimento del privato, dell’impresa e da questo punto di vista Montefalco ha rappresentato un modello. Non a caso il presidente della Regione oggi è l’ex sindaca di Montefalco: Donatella Tesei.
Ha vinto il centrodestra, quindi discontinuità?
Al di là degli schieramenti io dico che Donatella è un avvocato stimato e durante la campagna elettorale ha dimostrato di essere credibile. Poi ha dovuto gestire subito una cosa come la Pandemia, per cui siamo a vivere l’emergenza ancora oggi.
Ora al di là della politica, anche nel mondo del Sagrantino ci sono diverse anime, a volte poco comunicanti fra di loro…
Questo è vero, ma le diversità sono la ricchezza di una denominazione. Se pensiamo a un produttore come Bea, tanto per entrare nel merito, io penso che sia una ricchezza essere entrambi sui mercati mondiali.
Giampiero Bea lo conosco molto bene e così i suoi vini, ma se devo dire, assaggiando ora il Sagrantino 25 anni delle annate 2016 e soprattutto il 2015, ritrovo l'anima del Sagrantino e quindi un linguaggio abbastanza comune e riconoscibile.
Questo mi fa piacere, anche perché questi vini che hai assaggiato sono il frutto di una scelta radicale, che è stata affidarsi a un enologo internazionale come Michel Rolland.
Un enologo discusso, che tuttavia in questi vini che ho davanti ha dimostrato il contrario rispetto alle accuse che gli venivano rivolte anni fa, ossia di omologare i vini.
Infatti, il punto da cui partire è affermare una tradizione. Il lavoro nel vino è pulirlo, non omologarlo. Il grande vino è quello che fa emergere i caratteri dell’uva e quindi mostra un’espressività originale.
Il metodo di Rolland è quello della “vinificazione integrale”, ovvero?
Intanto si lavora con la barrique e con le uve diraspate e pigiate utilizzando il ghiaccio secco. Diciamo che si aprono le barrique per favorire un'infusione a freddo di mosto con le vinacce: parte liquida e parte solida che ruotano all'interno della piccola botte per favorire un’estrazione dolce. (In fondo un box di approfondimento su questa tecnica)
I tuoi vini in quale mercato sono più apprezzati?
Negli Stati Uniti sicuramente.
Anche quest’anno?
Ma io ci spero e i segnali che sono arrivati dall’estero sono confortanti. Tieni conto che in America nei ristoranti facevano entrare i clienti fino al 25% della capienza. Qui hanno chiuso tutto senza una prospettiva, ma soprattutto mortificando dei professionisti, perché se a una persona togli il lavoro lo deprimi.
E come hai fatto con i tuoi dipendenti?
Noi abbiamo progetti di formazione su vari livelli, in Umbria c’è il primo ITS italiano in tal senso. Poi nella nostra azienda il mood è quello di sperimentare sempre e così facendo mettiamo a disposizione del territorio l’innovazione che creiamo.
Anche dal punto di vista occupazionale, come abbiamo letto su Buone Notizie la scorsa settimana...
Sì, abbiamo favorito la formazione dei migranti richiedenti asilo, anche perché in Italia, con l’arrivo del reddito di cittadinanza, molte maestranze si sono licenziate ed oggi sorridono perché magari prendono di più di un cassaintegrato. Inoltre il governo precedente ha negato i voucher in agricoltura, senza capire che non è in questo modo che si combatte il caporalato.
Assaggio il tuo vino bianco, la Cuvée Secrète, che ha un colore giallo oro e note di frutti esotici importanti. Qual è il segreto della cuvée?
Sono le uve viognier, chardonnay, verdicchio e fiano che fanno grande questo vino, in percentuali diverse ogni anno a seconda della vendemmia.
Quindi hai scelto una strada di parentela internazionale per questo Bianco, mentre sul Rosso sei riconosciuto soprattutto per il Sagrantino, anche se fai un vino venduto solo on line (Nero Outsider Pinot Nero), da tempi non sospetti.
Ma vedi, io ho nel mio Dna l'idea della multicanalità. E questo vale sia per la gamma dei vini sia per l’impresa.
Quindi hai sviluppato anche la vendita on line?
Facciamo vendita on line da anni, scegliendo però di farlo tramite siti terzi come Tannico. Attraverso questi canali in questo periodo il fatturato è raddoppiato, anche se rappresenta solo il 3% del nostro volume di affari. C’è poi l’enoturismo, la crescita della Strada del vino e tutto questo aspetto esperienziale funziona il doppio del canale on line, ad esempio.
Sul sito si evince che in tempi “normali” voi siete aperti tutto l’anno, è così?
Sì, proprio così: ci sono 12 persone addette all’accoglienza. Pensa che ad agosto 2020 abbiamo triplicato il fatturato dell’anno prima.
Se è vero che sei nato con Vinitaly, professionalmente parlando, cosa auspichi per l’edizione 2021?
Se si facesse sarebbe un gran bel segnale per il mondo del vino. Io ho un grande debito di riconoscenza con questa fiera di cui riconosco l’importanza di aver messo al centro di tante situazioni la produzione del vino italiano.
La chiacchierata con Marco Caprai finisce qui, sapendo che se si volesse raccontare tutto della sua “multicanalità", non basterebbe un libro. Ma leggendo fra le righe di tutte le iniziative che ha messo in campo, si evince la stoffa di un imprenditore italiano, concreto e creativo, spesso con alte pretese sull’evoluzione del suo territorio e sul vino.
Il Montefalco Rosso 2018 che ho qui davanti ha note profonde di frutta e noccioli e poi una freschezza elegante giocata sempre sulla rotondità.
Il Montefalco Sagrantino “25 Anni” 2016 ha una sua complessità al naso, con note fruttate e animali. In bocca senti quella tannicità setosa che persiste a lungo. L’annata 2015 del medesimo vino si presenta nel bicchiere con un maggior carico di spezie e una profondità spiccata. Compete per rappresentare la perfezione di un vino, nel senso di offrire ciò che cerchi in un Sagrantino: non solo eleganza, carattere distintivo dei vini di Caprai, ma anche riconoscibilità di un’origine. Complimenti!
Approfondimento su metodo di vinificazione di Rolland
Il metodo utilizzato da Michel Rolland è quello della cosiddetta “Vinificazione integrale” delle uve rosse, che si svolge direttamente in barrique.
Come funziona: la barrique viene aperta, riempita con il prodotto appena diraspato, poi si richiude e si mette in una stanza refrigerata dove avviene un processo di pre-macerazione di 8-10 giorni, a seconda delle varietà, della tipologia di uva e dei livelli di maturazione fenolica. Al termine del periodo pre-fermentativo, la temperatura viene portata a 25 °C e si dà avvio alla fermentazione alcolica; durante questo periodo che varia da 5 a 10 giorni la barrique viene posizionata su dei binari e fatta ruotare (a mano), in modo che la parte liquida si immerga nella parte solida, creando un rimontaggio in modo radiale e non dal basso verso l’alto o dall’alto verso il basso. In questo modo lo stress del prodotto è quasi azzerato. Questa operazione viene effettuata dalle 2 alle 4 volte al giorno, a seconda della tumultuosità della fermentazione (grado zuccherino). Al termine della fermentazione alcoolica la temperatura viene riportata a 26-28 °C, proseguendo con il rimontaggio per rotolamento, questa volta ridotto a 1-2 volte al giorno. Queste operazioni proseguono poi per circa 1 mese. Al termine si svina e si separano le bucce; si procede cosi con l’affinamento tradizionale in barriques. Mediamente da 5 barrique riempite in modo integrale se ne ricavano 3, riempite questa volta di solo vino.
La tecnica della vinificazione integrale permette l’ottenimento di vini più rotondi, di maggiore volume, maggiore grassezza, maggiore complessità una accentuata precisione aromatica, un boisé meglio integrato con finali setosi. Oltre alla precoce integrazione del legno con l’uva, queste caratteristiche trovano spiegazione anche dal fatto che la vinificazione avviene in un piccolo contenitore, una estrazione molto soffice, l’immersione quasi permanente delle vinacce nel corso della fermentazione alcolica. Questa infusione è direttamente legata alla forma della barrique e non può essere ottenuta che nel caso di una barrique posta in posizione orizzontale. Infine, la rotazione della barrique durante la fermentazione alcolica permette la rimessa in sospensione delle fecce nobili, favorendo così l’ottenimento di grassezza e tannini più setosi.