Ordinanze poco precise e problemi di interpretazione: il caso
Dawit è un locale multitasking ovvero bar, enoteca e servizio di ristorazione fredda di Tarvisio, presente sul Golosario e premiato anche tra le migliori enoteche d’Italia. La titolare Benvenuta Piazzotta ha deciso di riaprire con servizio take away reintegrando dalla cassa integrazione quattro dei suoi dodici dipendenti.
L’obiettivo - ci ha spiegato - quello di offrire un servizio alla comunità di una località oggi orfana del turismo e riportare la voglia di fare tra le serrande tristemente abbassate. Per organizzare il servizio al meglio ha predisposto un servizio di ordine tramite palmare e transenne per la consegna così da garantire uno spazio di tre metri tra i clienti. La criticità avviene quando chi giunge in bicicletta o a piedi tende a consumare immediatamente quanto ordinato, sempre però mantenendo le distanze di almeno tre metri grazie alle transenne.
Nonostante questo però non sono mancate le contestazioni che fanno riferimento a un’espressione contenuta nel Dpcm del 4 maggio 2020 dove si riporta che è vietato consumare i prodotti all’interno dei locali e sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. Su questo il caso di Benvenuta Piazzotta è esemplare e lei stessa ha voluto trasmetterci il suo resoconto dei fatti, che trasmettiamo.
La determinazione delle “immediate vicinanze” lascia purtroppo ampi spazi di interpretazione.
Non si parla di metri, non si parla di numero di persone per metro quadrato. Anche la Confcommercio, a cui ho fatto un interpello, ribadisce il concetto di “immediate vicinanze”, senza poter dare ulteriori indicazioni. La definizione corrente spazia da pochi metri a chilometri. A questo punto possiamo solo riferirci alle finalità espresse dal regolatore nel compilare questa ulteriore ordinanza (l’Ordinanza 12/PC del Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia). Troviamo nei rilievi e nelle premesse quanto segue: “Rilevato che, inoltre, è necessario consentire lo svolgimento di alcune attività che per propria natura e in considerazione delle modalità, con le quali possono essere svolte, sono potenzialmente in grado di determinare un minimo aggravamento del rischio di contagio qualora si mantenga il distanziamento sociale e l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale";
È evidente la NECESSARIETÀ del consentire determinate attività, che sono potenzialmente in grado di determinare un MINIMO aggravamento del rischio di contagio. Di conseguenza le “immediate vicinanze” di cui si discute sottostanno principalmente alle regole del distanziamento sociale, che riassumiamo in “almeno un metro”.
Un’altra interpretazione risulta da analizzare quando nell’ordinanza si parla di “cibo PER ASPORTO”. Anche qui ci aiuta la definizione corrente: “Il cibo da asporto è la preparazione alimentare acquistata in ristoranti o in altri locali di produzione e vendita, che il cliente intende consumare altrove, a casa propria o come cibo di strada”.
Non si fa riferimento preciso ad un consumo nel proprio domicilio, ma è usuale un consumo “per strada”. Quindi se tale è la normale accezione dell’asporto e se si è già determinato che l’obiettivo del regolatore è quello di evitare le criticità di contagio, il consumo non deve essere necessariamente considerato come consumo “al chiuso”, ma può essere considerato come consumo “all’esterno dei locali”, quindi sul piazzale, laddove siano rispettate le regole del distanziamento e della protezione personale”.
Una restrittiva interpretazione della norma però potrebbe di fatto inibire l’asporto (soprattutto per bar e ristorazione veloce) e creare enormi difficoltà a chi prova a riaprire e sostenere l’attività.
“Ora, creare inutili difficoltà ad aziende che arrancano - conclude Benvenuta - cavillare sui termini senza tenere conto delle reali finalità di questa regolamentazione, può diventare una grande responsabilità sociale. Con gravi ripercussioni sul futuro. Chi riapre un’azienda di ristorazione dopo questi due mesi sa che avrà un lungo periodo di fatica, di spese nuove che si aggiungono a quelle correnti, di mancati incassi. Inoltre, di paura sociale e di propensione al consumo ridotta a zero. L’atteggiamento di chi dovrà controllare è fondamentale, questa volta ancora di più.
Una responsabilità di controllo, certo, ma oltre i regolamenti, di buonsenso prima di tutto, vista l’ampia discrezionalità che il regolatore ha, volutamente, lasciato. L’importanza nell’ “estetica del territorio” di vedere luci accese nelle vetrine, animazione e normalità si è vista chiaramente in questi due mesi di immobilità. È un’importanza antropologica, una risorsa non ricostruibile una volta persa. Chi apre toglie dalla cassa integrazione una forza lavoro che oggi è sostenuta dallo Stato; con l’incasso giornaliero fornisce per ogni operazione che esegue quell’imposta sul valore aggiunto indispensabile al sostentamento dello Stato stesso; con le accise e le imposte contribuisce concretamente allo Stato sociale. Chi apre adesso va sostenuto, incoraggiato, consigliato. Anche difeso, probabilmente, viste le notevoli difficoltà di organizzazione”.