A Santo Stefano Roero, la De.Co. sulla tartufaia delle Rocche del Roero con Oscar Farinetti, Davide Rampello, Luciano Bertello, Paolo Massobrio e Antonella Parigi

Pochissimi lo hanno ricordato: il 29 novembre del 2004 ci lasciava Luigi Veronelli, per tutti “Gino”. E io conservo un ricordo molto vivido di quell’autunno, che era iniziato, anche se era ancora estate, con la dipartita di Riccardo Riccardi, conte di Santa Maria di Mongrando, l’ultimo giorno di agosto. Gino al suo funerale, che terminò con l’inno alla gioia, aveva messo la cravatta (rara avis), perché il conte ne sarebbe stato felice.

Il 2 ottobre di quell’anno a Barge, sul palco, diedero un premio al sottoscritto e a Gino per l’impegno a favore delle De.Co., le denominazioni comunali: la castagna e la mela d’oro. E lì Gino, mentre mi consegnavano la castagna, mi diede un pugno di incoraggiamento alle spalle, che era un come “Vai avanti”. Glielo promisi. Un mese dopo, a inizio novembre, eravamo annunciati ancora insieme, ad Alba, per parlare della De.Co. legata alle tartufaie. Ma Gino non si presentò. Fu Sergio Miravalle, collega della Stampa, ad avvertirmi: “Gino sta male, lo hanno ricoverato in ospedale”. Finito il convegno andai di corsa al cimitero di Priocca, a pregare per Gino sulla tomba del conte Riccardi. Ero molto dispiaciuto di quell’imprevisto, finché il 29 novembre, nel pieno di Golosaria al Teatro Regio di Torino, Romano Dogliotti, produttore di Moscato e oggi Presidente del Consorzio dell’Asti, mi raggiunse con una telefonata che ricordo ancora adesso: “E’ morto Gino!”. Facemmo un minuto di silenzio tutti: espositori e visitatori.

Ma restava l’incompiuta delle De.Co. e due anni dopo, un ministro dell’Agricoltura, Gianni Alemanno, fece un’apertura storica, dopo che più volte a Roma, coi suoi funzionari, andai a discutere di quello che la burocrazia non voleva digerire. Le De.Co, l’ho detto varie volte, non tutelano nulla, ma sono un atto politico importante, un flatus voci che avvia un processo di marketing territoriale legato all’identità di una comunità.

Domenica 3 dicembre a Santo Stefano Roero, il Comune ha presentato la De.Co. sulla tartufaia delle Rocche del Roero. Il primo cru del genere in Italia, anche se una De.Co. sulla tartufaia di Montemale (tartufo nero), fu vergata già una decina di anni fa, grazie all’impegno del Club di Papillon locale. Ora, i contadini (gli abitanti del contado) di quel paese del vino, che si sono riuniti in Associazione, possono chiedere un marchio. Possono insomma vivere un momento privato, dopo che il Comune ha avviato un processo, con una delibera, che è portato a fare storia.

Oscar Farinetti, con me, Davide Rampello e Luciano Bertello intervenuti alla festa, ha detto che fra qualche anno vorrebbe fare anche lui una De.Co. sulla tartufaia di Fontanafredda. Succede così anche nel caviale, nelle ostriche: le iniziative identitarie hanno sempre una gemmazione, che produce storia. E anche economia. Io ho voluto ricordare Gino ieri a Santo Stefano Belbo, anche perché i cru del vino li incoraggiò lui in Italia. L’ho fatto davanti agli onorevoli con cui da anni facciano questi discorsi, senza mai arrivarne ad una. Eppure a Santo Stefano Roero c’è un sindaco che non demorde e fa la De.Co. mentre un assessore regionale annuncia il museo diffuso del tartufo nel Roero. Lo ha fatto Antonella Parigi ieri a Santo Stefano Belbo, anticipando una notizia che sarà ufficializzata il 15 dicembre. E lì mi sono reso conto che la politica è più efficace quanto più è di prossimità (la stessa che il governo Renzi ha voluto mortificare, ammazzando Province e Camere di Commercio, cioè i livelli più intermedi); mentre quanto più è lontana – Roma, Bruxelles – tanto più è vaga. Come quei politici che non potevano restare alla cerimonia o alla degustazione pazzesca dei vini di Santo Stefano (Arneis spettacolari) e anche al pranzo.

Sapete qual è il segreto della politica? Ascoltare la gente, vivere con loro le cose che le stanno più a cuore. Le comparsate non hanno mai prodotto niente, neanche quelle che faceva Mussolini. Anzi, sono la fine della politica. Perché, come dicevamo ai tempi dell’Università: la prima politica è vivere!

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