Le Calandre, il locale che merita il viaggio almeno una volta nella vita. Ma poi si torna ancora
Tornare a Sarmeola di Rubano (Pd) per me ha molti significati. Era il 1989 quando mi sedevo in quel tavolo tondo ad angolo con Giorgio Onesti, il guru delle cose buone d’Italia dopo essere stati a fare la spesa da Franchin a Padova. E Massimiliano era un ragazzino. Poi ci sono tornato da ispettore della Guida dell’Espresso, l’anno dopo che un severo Raspelli in compagnia di Giovanni Bravi gli aveva dato un voto bassissimo. E quella volta, era marzo, in compagnia di Marco Trabucco, facemmo fare un nuovo balzo in avanti (ma chi non ha fatto errori di gioventù, in cucina? È normale). E poi altre volte, di cui una di qualche anno fa dove la sua spinta creativa e verso una cucina che definirei “naturale” mi incuteva timore. Forse anche il menu mi dava ansia nello scegliere e non so perché. Questa volta ho trovato il Massimiliano della maturità, quello che ha scelto la strada della semplicità, dell’essenzialità, ma anche del gioco che solo un grande cuoco si può permettere.
In cucina c’è aria di intesa fra i ragazzi che lavorano sotto la sua supervisione; in sala c’è un entusiasmo palpabile a vedere il maître, ma anche il sommelier. Leggo la carta dei vini e mi commuovo perché ci sono le etichette della storia del vino, di una certa storia (non le etichette ostentate) e ci sono gli emergenti, alcuni anche fra i biodinamici e i biologici. Ma non per scelta ideologica ostentata: ma perché il vino è buono e rispecchia la cucina. Certo è solo metà della cantina, quella italiana (ma chi avrebbe pensato di trovare il Barbacarlo di Maga Lino?), perché la parte dei francesi e di altre parti del mondo è altrettanto grandiosa.
E veniamo al menu: non mi ha messo ansia, anzi, mi ha incoraggiato ad assaggiare più cose, con curiosità. Il menu si divide fra “Classico”, “Max” con i piatti più creativi e “Raf” (in omaggio al fratello) che è una commistione con ortaggi e verdure buonissime (verze, cavolfiori, cime di rapa, cicorie, radicchi amari, topinambur). Tutti a 225 euro con 11 portate.
Io ho pescato fra i tre, iniziando con la Pizza cotta al vapore con crema di tartufi di mare, gamberi rossi crudi e bottarga di muggine (Max) provando una sensazione di pienezza al palato, ma anche di leggerezza. Fagioli e banana (Max) è un piatto incredibile, un gioco fatto su crema di fagioli del Papa, insalatina di radicchio, sedano, fagioli e pezzettoni di banana, sorbetto all’estragone e sedano e spuma di fagioli. Fantastico, impossibile da descrivere se non la sensazione di pulizia finale che ti accompagna. Ecco ancora l’insalatina di verze e cavolfiori con cannolicchi, caviale e chips di riso bianco (Raf), e poi un superbo risotto con anguilla, sorbetto all’estragone, polvere di barbabietola rossa e curry nero (Max), che ho trovato decisamente superiore al risotto che mi servì l’ultima volta. Da piangere per la bontà, i ravioli di lepre selvaggia con scaglie di tartufo nero (la pasta del raviolo è di grano duro) preso dal menu Raf, dove va premiata la generosa farcitura di lepre. Quindi il rombo impanato con crema di carciofi e pistacchi, cime di rapa saltate in padella (Raf) e poi l’apoteosi della succulenza con il piccione arrostito al rabarbaro con chips di topinambur (Max) che poi sogni anche di notte. Come dolce, un altro gioco: Mozzarella di mandorla (classico) ovvero una mozzarella come immagine, fatta interamente di mandorlato con capperi ed olive candite, olio, origano e peperoncino. Il sommelier, bravissimo, ha portato quattro vini in abbinamento tutti azzeccati. Nel frattempo guardavo i piatti che uscivano dalla cucina e andavano agli altri tavoli: la lisca fritta (classico), cappuccino di seppie al nero (classico), maialino da latte arrostito con cicorie e spuma di senape al caffè (classico); pasta al forno (Max); uovo al tonno (Max); tiramisu di battuta piemontese al sedano e curcuma; zuppa di cavolo (Raf). E i dolci: meringata di fagioli; biancomangiare di sola mandorla con frutti di bosco o Foglio bianco, ovvero gioco al cioccolato. Il ristorante è in via Liguria 1 (tel. 049630303 – 633000), accanto c’è l’hotel che porta il nome di Calandre, ma non è all’altezza di questo locale (però spendi 50 euro e non sei a rischio di etilometro). Di fianco c’è il Calandrino per esperienze più easy ma sempre alte nel gusto e di fronte In.gredienti, la bottega della Calandre (da oltre 10 anni) anche qui con qualche posto a sedere. E sarebbe piaciuta moltissimo a Giorgio Onesti.
In questa visita ho toccato il cielo con un dito: sembra d’essere in un villaggio del gusto dove vince la levità, la semplicità, il gioco creativo e geniale, che ripeto, merita il viaggio almeno una volta (e poi si ritorna un’altra e un’altra ancora). Siamo nel pieno della maturità di questa cucina che segna una grande tappa italiana.