Nel fine settimana c'è il menu delivery con proposte legate al territorio che sostengono le aziende locali
Ha un nome che potrebbe suonare quasi punk, ma si tratta di un progetto di cucina itinerante la cui visione andrebbe collocata tra l’antroposofia steineriana e la resilienza territoriale: creatori di questo pensiero realizzato sono Francesco Paulon e Mauro Oliva.
Il primo, con i suoi trascorsi in cucine di diverse osterie veneziane, è successivamente approdato al fine-dining: in quel contesto, da uomo intraprendente e visionario, ha perfezionato versatilità e sensibilità nei confronti della materia prima.
Mauro invece lo si incontra da aprile a novembre al Rifugio Dolomieu Dolada, luogo che da sei anni gestisce con amore per la sua terra e una passione per il volo libero con parapendio.
Nell’unione dei loro ventricoli pulsanti, in un contesto così immanente ai piedi della roccia eterna, si forgia un progetto di cucina etica e sostenibile.
Un esempio perfetto è l’indimenticabile risotto di pecora, salsa ai mirtilli, melanzane e polvere di cavolo nero. Un piatto che cerca (e trova) un nesso tra la pecora e i suoi pascoli, tra la tipicità di un riso veneto e l’inverno che si prepara ad accogliere la primavera, mentre con le melanzane si guarda a est, oltre i territori e le assonanze gastronomiche.
Il progetto nasce anche dalla necessità di sopravvivere durante il lockdown, a dimostrazione che le difficoltà partoriscono grandi idee. E così durante i week-end Cuore/Crudo prende vita anche come menu in versione delivery con proposte pensate per dare sostegno ai piccoli produttori locali, ad allevatori e cantine; in questo modo si risveglia un’idea più precisa di identità locale nella clientela, gente che sale fino su in Cadore e scende verso Vittorio Veneto.
Ogni piatto è un omaggio al territorio: il crostino al lardo e polvere di gazpacho ricorda la pietra umida dalla quale si staglia il piccolo cespuglio di fiorellini rosa del timo limonato che qui cresce infestante.
E all’imbrunire basta osservare la silhouette delle cime e la luce fioca che si posa sulle rocce per capire cosa bolle in pentola.
L’indivia spadellata, nappata, in carpione e quasi caramellata, poi stufata per estrarre la dolcezza della sua stessa laccatura diventa perfetta accanto a un trancio di manzo oppure di pecora, e non di agnello, come ci si potrebbe aspettare, nossignori!
Etica è lasciar crescere l’animale libero, concedergli di vivere dei suoi prati, dare significato al suo essere e macellarlo soltanto in età matura, così la sua sarà una carne buona, di una bestia che ha trascorso un’esistenza vera e davvero degna del nostro desco.
L’attesa.
Pecora, salsa di albicocca e ginepro, patata all’olio e pomodoro confit per un approccio essenziale a una carne morbida e succosa, appena ammansita dalla pianta officinale in salsa di frutta.
Se tra i prati, in mezzo all’erba tagliata che trattiene l’umore notturno della terra, fioriscono le piccole, profumatissime fragoline di bosco, ecco che anche il manzo frollato 40 giorni di Mario Bistecca, chutney di peperone e pesca, salsa peperone e senape con indivia brasata ricorda che la vita è troppo breve per non nutrirsi di cose buone e bellezza.
Basta osservarla questa squadra di intraprendenti cucinieri, per capire quanta passione scorre tra le pentole, nell’espressività di un gesto, nell’importanza del movimento del piatto che passa di mano in mano con solennità per garantirgli l’amore di chi l’ha concepito.
L’attesa.
Carote, rapanelli agrodolci e mandorle rappresentano la semplicità che si presenta punta di piedi. Solo tre ingredienti, il lusso di togliere il superfluo e rappresentare l’essenza. Qui si respira l’acume di Francesco, la dolcezza nell’agrodolce è il valore aggiunto e coglierne l’attimo mentre si compongono i suoi fragorosi pensieri è come risvegliare i sensi nella limpida acqua di un ruscello di montagna.
“La boca no a xè straca finchè non la sa de vaca”, recita un detto popolare veneto che esiste in tanti altri dialetti. Mai metafora è stata più calzante! Frico, timo limonato e salsa al limone candito, perché la Carnia sta proprio appena di là della ferrata.
Una cucina dall’anima naif ma densa di originalità, un melting pot che non lascia indietro le tradizioni ma è capace di guardare avanti: senza presunzione ma con consapevolezza e rispetto.
Su queste solide basi si muovono anche vino e musica, perché i sensi vanno usati tutti e palato udito e olfatto sono variamente interconnessi. Ma questo sarà parte di un altro racconto.