Sono tornato da Paolo Gatta, che per me era quel giovane, bravo chef, che in poco tempo aveva scalato le classifiche di gradimento della critica e del pubblico. Ci sono tornato, anche se non ce n’era bisogno, perché i miei collaboratori mi avevano assicurato da tre anni a questa parte che la cucina era sempre molto interessante. Però le voci raccolte in giro mi stavano preoccupando. Avete presente quando si parla di qualcuno che è partito per la tangente? Ecco, quando sento queste voci, per me è un invito a nozze. Lo feci quando dissero che Josko Gravner era impazzito perché aveva dismesso le barrique per le anfore, figuriamoci se non lo faccio per questo bravo cuoco, che ha la corona radiosa da diversi anni.
Che succede dunque? Nulla di trascendentale: Paolo Gatta si è stufato di rincorrere i modelli di una cucina finta, dove i fornitori possono portarti in casa materie prime buonissime, ma senza una storia. Così ha preso in mano i ricettari di Ildegarda Von Bingen, ha messo a dimora un orto e si è messo a cucinare tutto ciò che produce, trasformandolo in piatti.
Detto questo, tu ti siedi, dialoghi con lui mentre prendi un aperitivo scelto da una carta di vini tutti a inclinazione naturale e ti affidi al suo estro, che in cucina improvvisa, con una tecnica che non ha eguali, un menu che alla fine vi farà ricredere. Qui di seguito quello che ha servito a me, che ero solo al tavolo, mentre alle spalle c’era una coppia, mamma e figlia, che erano tornate dopo altre volte. Via dunque per la crème brulée lamponi e portulaca (una pianta erbacea commestibile), da sorpresa la farinata di lenticchie rosse e carote fermentate, di altra piacevole consistenza la crèpe di piselli crema di umeboshi e semi di zucca. E già qui avrete la sensazione di essere stati catapultati in un altro mondo.
Di primo ecco invece il riso con le bacche di goji e parmigiano, dove si ammira la sostanza dello chef in un piatto dove il parmigiano conferisce il sapore. E ora tenetevi forte, perché i piatti a seguire per me sono stati qualcosa di mai visto, di nuovo e di molto buono. Ecco la millefoglie di semi di lino mele al forno e senape (e qui davvero, pere chi lo conosce, c’è tutto il genio di Paolo Gatta); a seguire la salvia al tandoori con foglie di amaranto croccanti. Croccante e sorprendente il rocher al topinambur e liquirizia Nuvola alla spezie.
Altri piatti: lievito madre al timo, olive e capperi; insalata e fiori in brodo; pomodoro fragole gazpacho bianco e basilico; stracotto di cavolfiori con salsa alle foglie di curry; vellutata d'insalate con millefoglie di champignon mele e alghe; melanzane affumicate in foglie di fico e cacao; spaghetti di riso integrale con pesto di rucola limone e liquirizia. Eccezionale il 100% legumi: pasta di ceci su crema di borlotti fave fresche capperi e santoreggia.
Siamo al dolce: zafferano gelato al gomasio e pesche della vigna; noci al cioccolato e menta, maddalene alle fave di Tonca muffin al tè macha; castagnaccio e lamponi. Ho assaggiato tutte queste cose, con tre vini a bicchiere.
Paolo Gatta ha fatto una cucina espressa per un’ora e mezza. E sono stato felice. Certo siamo nel filone della cucina vegana, anche se a me le etichette piacciono poco; oppure siamo sulla scia degli chef che hanno scelto di lavorare sul naturale. Ma ripeto, Paolo Gatta è molto di più. Qui siamo veramente in un altro mondo. E la sua ostinazione lo porterà a completare ancora di più e meglio la sua offerta che ha un forte contenuto, ma anche un gusto, frutto di una tecnica che viene messa al servizio della conoscenza dell’universo mondo. Grande Paolo!
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