Venerdì 5 novembre summit a Costigliole sui vini che verremo domani
Mura Mura è un nome che abbiamo imparato a conoscere quando le immagini di un frutteto arredavano le pareti delle gelaterie a marchio Grom. Oggi, al netto di nuovi progetti e cambi di proprietà vari, Mura Mura è una realtà di una bellezza che emoziona sulle colline intorno a Costigliole d’Asti.
Guido Martinetti e Federico Grom sono lì, a vent’anni di distanza dalle prime gelaterie a presentare il loro progetto, senza presentarlo. Perché per parlare di Mura Mura scelgono di far parlare i temi che li appassionano di più varando un appuntamento annuale, Climate change and fine wines, che vuol essere il summit annuale dedicato ai (grandi) vini e ai cambiamenti climatici.
A dare il là al progetto Carlo Petrini e José Vouillamoz dell'Académie du vin francese, l'associazione mondiale di riferimento sulla vite e il vino. Il motivo del connubio con Mura Mura è immediato: basta guardare questa cantina moderna, costruita secondo i dettami della bioedilizia, completamente interrata e quasi invisibile dall'esterno, per capire dove sta andando l'agricoltura del futuro. Poco più in là il resort con una struttura tutto vetro che domina le vigne e sembra quasi esserne attraversata, l'evoluzione di un ciabòt dove vivere il tramonto. Spazi ben bilanciati senza essere esagerati. Il tempo delle cantine faraoniche è giunto al tramonto, suggeriscono i Mura Mura, lasciando spazio a una visione di sostenibilità che è ricerca e rete. Lo spiega Vouillamoz mostrando come negli ultimi trentacinque anni le date della vendemmia siano sempre più precoci a discapito delle varietà tradizionali e della viticoltura, per come l'abbiamo concepita fino a oggi.
Rivoluzionare le vigne con vitigni più adatti ai climi correnti cambiando completamente il paesaggio agrario? Impossibile per le grandi regioni vitivinicole che hanno fatto di pochi vitigni il loro vessillo (Borgogna, ma anche Langhe). Puntare sull'editing del DNA e sull'ingegneria genetica? Una possibilità. Cambiare il modo di fare agricoltura puntando su nuovi portainnesti (già perché gran parte della sfida si gioca proprio qui) e su alcuni cloni, magari oggi marginali in vigna, ma più resilienti ai cambiamenti climatici? Sì, questa è la strada maestra che tutti sembrano voler seguire e che, almeno nei decenni a seguire, dovrebbe garantire continuità con le produzioni e una buona risposta all'aumento di 1,5/2 gradi al 2100.
Quello che è l'effetto sul cambiamento climatico, però, non è solo una questione di macrozone, ma di vigne stesse. Vigne prima ben esposte che rischiano di diventare aride e vigne invece marginali che aumentano la produttività. Non c'è bisogno di lanciare appelli di disperazione ma bisogna prendere atto che esiste un cambiamento a cui va data una risposta. Paolo De Marchi di Isole e Olena lo paragona al cambiamento sociale che ha interessato la mezzadria a metà del secolo scorso e racconta che allora la risposta a molti dei problemi arrivò da quelle vigne vecchie che aveva mantenuto per selezionare i cloni più interessanti qualitativamente che incrementassero la redditività dell'azienda. Oggi quella stessa vigna è ancora lì e servirà per selezionare i cloni più resilienti ai cambiamenti climatici.
“Siamo di fronte a un cambiamento per l'uomo pari a solo alla Rivoluzione Industriale” ha detto Carlo Petrini. La risposta, però, insegnano i viticoltori e la scienza potrebbe essere già nella vigna stessa. Sempre che vengano mantenuti (e incrementati) gli impegni di Parigi e l'aumento contenuto a 1,5 gradi. Altrimenti il vino (e non solo) potrebbe attraversare una crisi paragonabile solo a quella della fillossera, però questa volta senza viti americane che vengano in nostro aiuto.