A guidare la cucina Max Mascia, classe 1983, cresciuto in questo ristorante
Ogni volta che sono tornato al San Domenico di Imola ho avuto un pensiero: qui è codificata la storia della cucina italiana, è un dovere conoscerla, farsene parte vivendo un’esperienza di accoglienza unica.
La sala Specchio del San DomenicoGianluigi Morini, che ci ha lasciati appena cinque mesi fa ce la raccontò quando a Golosaria, nel 2008 lo premiammo come ristoratore dell’anno, prima ancora di Gualtiero Marchesi, cuoco dell’anno.
Gianlugi Morini tra Marco Gatti e Paolo Massobrio, premiato a Golosaria 2008
E lui ci raccontò di quella fulminazione che fu la codifica della cucina borghese di Nino Bergese, cuoco saluzzese dedito alla cucina a domicilio (ma la sua forza fu cucinare alla corte dei Savoia, ma anche a casa Agnelli, prima di aprire “la Santa” che già era all’apice). Accettò per un breve periodo ma Bergese, certamente ammaliato dai modi signorili di Morini, benché consideratosi ormai a fine carriera, vi rimase per sette anni. È il 1972 quando arriva Bergese a Imola, due anni dopo l’apertura del San Domenico (7 marzo 1970) e di quel ristorante condivide il desiderio di Gianluigi Morini e dei suoi soci: concedere a tutti la possibilità di conoscere e apprezzare la grande cucina italiana in un luogo accogliente, in cui ogni ospite possa gustare il calore del sentirsi a casa.
Nino Bergese al centroOra, la cultura e la conoscenza della cucina, le tecniche e i segreti per rendere grande ogni piatto sono stati l’insegnamento più grande per il giovane Valentino Marcattilii, in cui Bergese riconosce l’istinto del grande chef. Così si forma: prima al San Domenico e poi in Francia, negli anni della Nouvelle Cuisine, con i fratelli Troisgros, la famiglia Haeberlin e con Fernand Point. In sala, le redini sono tutt’ora nelle mani del fratello di Valentino, Natale Marcattilii.
Ci siamo stati una sera di aprile, accolti in un elegante dehors davanti a un giardino dove talvolta organizzano il Déjeuner sur l'herbe, che dà sulla grande piazza. In cucina il giovane Max Mascia, classe 1983, cresciuto al San Domenico fin da adolescente.
“È un luogo che sa di casa, dove le giornate sono accompagnate dal profumo del pane fresco pronto per essere sfornato” dice della sua esperienza a fianco dello zio Valentino Marcattilii. Anche lui è stato mandato in giro per il mondo ed è stato da Ducasse a Parigi. Nel 2010 torna a Imola dove prende le redini del ristorante e della sua intera gestione a soli 27 anni. E così, resta a Max conservare la tradizione, soprattutto di certi piatti e spingere verso una cucina legata alla stagionalità e ai prodotti.
Max Mascia tra gli zii Natale (a sinistra) e Valentino Mercattilii (a destra)Ecco allora l’"Uovo in raviolo" con Parmigiano Reggiano dolce, tartufo e burro nocciola, che abbiamo assaggiato anche l’altra sera. Un piatto di Bergese e Marcattilii mai uscito dal menu del ristorante.
Il celebre piatto "L'uovo in raviolo" con Parmigiano Reggiano dolce, tartufo e burro nocciolaMa dei nostri assaggi ecco gli amuse bouche: i tortellini fritti, i mini toast, le olive farcite, il biscotto di Parmigiano con mousse di mortadella e pistacchi, la crema di asparagi e olio d’olivo.
Gli amuse bouche del San DomenicoQuindi il filetto di baccalà in oliocottura, crema di pomodori verdi e aria di cipolle e poi la sontuosa noce di capasanta alla plancia, riduzione di ostriche e martini dry, vongole veraci memorabile, croccante, il maialino di Mora Romagnola con carciofi alla mentuccia e tartufo nero per chiudere, appena in tempo per salutarci con la Torta Fiorentina Nino Bergese con sorbetto alla pera, dolce a strati di cioccolato realizzato appositamente per il compleanno di Umberto di Savoia nel 1926.
La celebre Torta Fiorentina di Nino BergeseMa come non ricordare, nel menu di Max, il raviolo di cotechino, brodo e verza o il raviolo di faraona e verza con salsa al Marsala. Quindi il risotto mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna, un piatto ideato da Valentino ma che contiene le linee guide del mitico risotto al fondo bruno di Bergese così come il pasticcio di fegato d’oca in terrina, con gelatina al Porto e brioche tostata. C’è poi il pesce con il crudo di scampi all’acqua di pomodoro e caviale. La ricciola vaporizzata al gin tonic, le ostriche al lime, brodo di prosciutto e parmigiano reggiano e gli scampi e caviale Siberian Royal con emulsione di patate all’olio extra vergine di oliva.
Pasticcio di fegato d'oca in terrinaC’è da menzionare la cantina con 15mila bottiglie e 2.400 etichette, tutt’altro che scontata, visto che fra i Barolo spiccava un raro Mario Fontana che dice della passione contemporanea.
A condurre la sala è oggi Giacomo, figlio di Natale, che è tornato a Imola dopo anni di esperienze tra i migliori ristoranti italiani ed esteri, a New York, Barcellona e infine all’Enoteca Pinchiorri di Firenze.
Una storia di famiglia e di educazione, che compresi quando nel 2010 Valentino accettò di venire a Torino alla Piazza dei Mestieri, per cucinare con i giovani di quel centro di formazione che allora ospitò un’edizione di Golosaria a Torino. E la storia continua e, se mi è permesso, resta come allora, quando alla tavola la prima volta, accolto da Morini dissi: “Qui nessuno che ama la cucina italiana, può mancare!”.
Una sala del San Domenico
Ristorante San Domenico di Imola
Via Sacchi, 1
Imola (BO)
tel. 0542 29000
www.sandomenico.it