Umanità e divertimento della schiscetta
“Avevo appena riaperto a febbraio il ristorante di via San Calocero dopo alcuni mesi di ristrutturazione, quando l’ho dovuto richiudere per il Coronavirus. Il mio locale di Tokyo non era chiuso, ma il governo giapponese aveva raccomandato di non uscire e, con la disciplina dei miei connazionali, era quasi sempre vuoto. Avevo affrontato ingenti spese per il restyling e, come tutti i ristoratori, ero preoccupato per il futuro, i dipendenti, l’affitto. Me ne stavo a casa, in contatto con gli altri ristoratori, a scambiarsi lamentele via chat, a sperare in qualche aiuto dello stato. Allora mi sono stufato e ho cominciato a pensare che, se si voleva ottenere qualche cosa, non era giusto starsene a far niente aspettando, bisognava dare un contributo. Così ho consultato il mio avvocato e il commercialista, ho chiesto ai dipendenti se volevano partecipare e abbiamo cominciato a preparare i pasti per il personale medico del vicino Ospedale S. Giuseppe. Abbiamo fornito gratuitamente 50 pasti al giorno per 1 mese; gli ingredienti all’inizio sono stati tutti a carico nostro, poi abbiamo trovato qualche sponsor. Non avevo mai fatto questo tipo di lavoro, ho dovuto studiare per trovare le giuste combinazioni, qualche cosa di buono, nutriente e bello da vedere, che tirasse su il morale. Facevamo cucina italiana e giapponese. Sorpresa: i medici preferivano la giapponese. Ho capito allora cosa avrei potuto fare”.
Sto chiacchierando nel suo elegante ristorante milanese con Yoji Tokuyoshi, per nove anni sous chef di Bottura, stellato Michelin per la sua cucina italiana con un tocco giapponese fin dall’apertura nel 2015 e anche a Tokyo dal 2019. Da maggio è diventato Bentoteca e mi viene in mente una reminiscenza di vecchie letture: la vita non ci dà mai quello che vogliamo nel momento che ci sembra adatto. Le avventure arrivano, ma mai puntuali. Bisogna essere pronti e non è facile.
Il Bento è la schiscetta giapponese. Una scatola di solito contenente riso, pesce o carne, verdure sotto sale, da portare in ufficio, a scuola, al pic-nic. Lo si può comprare pronto ai grandi magazzini o anche ai convenience store ma, tradizionalmente, sono mamme, mogli o fidanzate a prepararlo. Come sempre in Giappone la forma e l’estetica sono importanti, gli alimenti sono disposti in modo coreografico e piacevole per dare sollievo e buon umore. Il Bento preparato così, più che una merenda, è un gesto d’amore.
“Così sono tornato a cucinare giapponese. Fino a maggio da asporto con i miei bento: anguilla kabayaki (la meravigliosa anguilla alla giapponese), Yakitori di pollo ficatum, sgombro impanato, tempura vegetariano. Nel mio bento gli ingredienti non sono separati, è tutto mescolato, un po’ come nel cirashi sushi, a cercare accostamenti sfiziosi, è più divertente! Ora che si può cenare al ristorante, siamo aperti anche come wine bar e gastronomia… è diventato un posto più amichevole, dove gustare buon cibo senza spendere troppo e bevendo vini naturali”.
“Cucinare giapponese per me significa prima di tutto stagionalità, poi combinazione di umami, ad esempio m’è sempre piaciuto proporre pesce e carne insieme. In menu ho un piatto di prosciutto crudo con ricciola marinata, un altro di tartare di fassona e trota. Anche i vini naturali, con le loro macerazioni, forniscono umami, come certi abbinamenti di the, o il brodo dashi. La qualità degli ingredienti non è cambiata, ho semplificato. Prima eravamo tutti in divisa, come esige un ristorante di prestigio, ora il personale può vestirsi come gli pare (in effetti è la prima volta che lo vedo con la bandana). Vi posso assicurare che l’impegno non è diminuito, anzi: far da mangiare bene facendo pagare poco è più difficile, ma anche più divertente. Ho in menu il katsusando di lingua, sono due sandwich con lingua di vitello e maionese verde. La lingua viene cotta 36 ore a 78 gradi, raffreddata per una notte, viene tolta la pelle, impanata e fritta. Tutto per fare un panino da 14 euro!”
É rilassato e sorridente e, nei suoi discorsi, la parola più usata è “divertente”, mi fa vedere un piatto creato per suo figlio, pane a vapore con burro fatto in casa e acciughe, a forma di panda. “Si chiama Panda, burro e acciughe, sai… a mio figlio piacciono tanto i panda”.
Mentre parliamo il personale del ristorante finisce le preparazioni per cena, si percepisce il piacere di essere tornati a lavorare, un’atmosfera gaia che ha ripudiato la sofferenza.
Il menu è semplice: una decina di assaggi da condividere bevendo un buon bicchiere, abbinamenti sfiziosi e curiosissimi, la filosofia di Tokuyoshi in pillole per l’aperitivo. La sezione bento e udon (tradizionale pasta giapponese di grano tenero tirata a mano) e poi qualche piatto speciale più importante. Si può cenare con 40/45 euro bevande escluse.
“La nuova formula sta riscuotendo un buon successo e abbiamo avvicinato anche una clientela più giovane che forse non si poteva permettere i prezzi di prima. Questo mi fa molto piacere perché la mia idea di cucina è comunicazione, avvicinare le persone come sono vicini, pur nella loro distanza, Italia e Giappone. Cucina italiana e giapponese sono accomunate dalla semplicità. La maggior parte delle ricette si possono cucinare in una pentola sola”.
“Non ho abbandonato l’idea dell’alta cucina che mi ha dato tanto. Il ristorante ristrutturato ha ampi spazi e presto ne allestiremo uno dove chi vuole, non più di otto/dieci per sera, potrà godere di un’esperienza ancora più esclusiva. Ma ora lasciatemi divertire!”
E mi sono divertito tantissimo anche io, Yoji. Il futuro appartiene a chi lo sente arrivare. In bocca al lupo!
Ristorante Tokuyoshi
via S. Calocero, 3
Milano
tel. 340 8357453
info@ristorantetokuyoshi.com
www.ristorantetokuyoshi.com
www.bentoteca.com