L'incontro con Masanori Tezuka, proprietario di Miyabi, che a Torino fa vera cultura gastronomica

Via Bonsignore è appartata e tranquilla, ancorché vicina ai locali alla moda di piazza della Gran Madre. Scendo la scaletta che mi porta al seminterrato dove ha sede Miyabi, associazione culturale giapponese. Mi accoglie Davide, il maitre di sala, giovane garbato dai capelli rossicci, legati in un codino da samurai.
«Sei un finto Giapponese?» gli chiedo.
«Sì ma non dirlo, non se ne sono ancora accorti».
Scoprirò con invidia e rispetto che parla perfettamente il giapponese e lo scrive, il suo servizio sarà così cortese, caloroso e allo stesso tempo discreto da far sembrare ogni ironia fuori luogo e quasi superflua la ragazza giapponese in kimono.

Masanori Tezuka, 37 anni di Kobe, è il proprietario. Dopo un’esperienza come cuoco di cucina tradizionale piemontese in una trattoria in Val Chisone, ha scelto di tornare alle origini. «Sapevo che a Torino poteva trovare spazio un vero cuoco di cucina giapponese, così ho cominciato con il catering, finché non ho trovato il posto adatto ad aprire il locale che volevo».
Sashimi di ricciola, salmone selvaggio, capesante e tonno nero.
Tutti pesci provenienti dal nord del Giappone, subito congelati con abbattimento sul peschereccio stesso. Un crudo come appena pescato e che soddisfazione per papille stanche delle carni molli del Tonno Pinna Gialla dell’Oceano Indiano, tornare a un pesce come si deve, pescato in acque fredde!
«Ho imparato la cucina ad Hokkaido, nell’estremo nord. Laggiù ci sono ingredienti eccezionali, ma noi ci andavamo per lo snowboard. Eravamo un gruppo di amici fulminati dalla tavola. Lavoravamo sei mesi e gli altri sei li passavamo a scivolare sulla neve».
Tagliolini soba freddi al the matcha con asparagi e gamberi. Non voglio fare ingiustizia con le parole a questo piatto. Guardatevi la fotografia.
Continua Masanori: «Il ristorante si chiamava Ajihyakusen (traduzione: la tecnica prodigiosa di cucina dei cento santoni) ed è un leggendario ristorante di Isakaya (locali simili alle osterie italiane o ai pub britannici) vicino alla stazione di Sapporo. Il cuoco è stato il mio vero maestro, mi ha insegnato anche a pescare.»
«Come si chiamava?» gli chiedo.
«Non ricordo. Io l’ho sempre chiamato maestro» (Naturalmente non me lo vuole dire. Chissà perché).
Daifuku (tortina gommosa di sticky rice) con fragole e azuki, tiramisù di latte di soia al thè matcha.
«La pasticceria giapponese è il mio forte… Dovresti assaggiare il mio gelato di riso con salsa di yuzu (mandarino giapponese dal profumo molto intenso)! Organizziamo serate di degustazione di the giapponesi o anche di sake!».

Mentre lo ascolto, penso al carattere dei Giapponesi, così appassionati e devoti. Tanti vengono in Italia a imparare la nostra cucina a cui dedicano tutta la vita, dimenticando, quasi sottovalutando la loro tradizione. Masanori ha fatto il percorso opposto: forse proprio stando lontano dal Giappone ha sentito il richiamo delle radici. Fa vera cultura gastronomica, senza avere pretese intellettuali: semplicemente ti prende per mano mentre sta tornando a casa.

«E’ nei luoghi di cui ignoravi perfino l’esistenza che finisci per essere più felice» (Cees Nooteboom).

Tra l’altro, il nome del cuoco di Sapporo non l’ho trovato neanche su internet e, se non mi sbrigo ad andarci, non lo saprò mai.

Associazione culturale giapponese Miyabi
Via Ferdinando Bonsignore 8/A
Torino
Aperto dalle 19:00 alle 24:00 – chiuso martedì
Tel. 011-8196890 Cell. +39 333-3527690
Facebook: miyabi

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