Appuntamento con l'ottava degustazione di vini della cantina di Paolo Massobrio

Quale sarà mai la strada enologica del Monferrato? La domanda torna spesso, in questi magnifici 35 anni che rappresentano la base del mio osservatorio. A quei tempi, ossia agli inizi, feci un’indagine sul consumo del Grignolino per scoprire che stava diventando ormai un vino nostalgico, che interessava solo una certa generazione lombardo-piemontese. Eppure aveva avuto i suoi momenti gloriosi, tant’è che i produttori delle Langhe mettevano in catalogo anche quel vino. Be', dopo tutti questi anni devo dire che sono rimasto ammirato dalla tenacia di quei produttori che ci hanno creduto e non lo hanno fatto precipitare nell’oblio. A maggio di quest’anno avevamo procrastinato la nostra Golosaria, che ora ha due date a settembre, perché si svolgerà in due week end. Il Grignolino veniva e verrà celebrato a Vignale Monferrato.
Detto questo, un po’ per nostalgia e un po’ per curiosità, ho provato ad assaggiare i campioni di due cantine più una: Tenuta Santa Caterina di Grazzano Badoglio e De Alessi di Lu Monferrato.
foto-generica-dopo-premessa.jpgIniziamo dal Grignolino d’Asti “Arlandino” 2017 di Tenuta Santa Caterina che è rubino scarico con riflessi aranciati assai brillanti. Al naso i piccoli frutti virano verso il lampone, ma anche frutta secca (noce); in bocca ha un ingresso morbido ma poi si svela nella sua identità con quella tannicità che si addice ai grandi rossi. Un Grignolino tipico, per chi ama il genere.
Il 2010 ha i colori che virano sul mattonato; al naso senti più evidente la frutta secca (mandorla) e qualcosa che ricorda, anche se lontanamente ancora, la frutta sotto spirito: ma impressiona la coerenza dei profumi col campione precedente. In bocca è caldo, ancora scalpitante coi tannini e l’acidità che vivono la loro naturale anarchia. Da questo 2010 si capisce perché Guido Alleva abbia promosso insieme a dieci altri suoi colleghi il Monferace, ovvero il Grignolino invecchiato che ha debuttato quest’anno con il millesimo 2015.
tenuta-santa-caterina-arlandino.jpgDue anche i Grignolino di Roberto De Alessi (l’enologo di entrambe le cantine è Mario Ronco): il Piemonte Grignolino 2018 e il Piemonte Grignolino “Monfiorato” 2013 che segue la suggestione del Grignolino invecchiato. Il colore del 2018 è decisamente diverso: una ciliegia, con qualche timido riflesso aranciato, mentre il "Monfiorato" ha una consistenza maggiore e le note che virano al mattone si fanno già presenti. Il 2018 al naso ti aggredisce con note di amarena e ribes e in bocca esprime tutta la sua freschezza, dentro a un sorso che tuttavia si mostra morbido; i tannini sono quasi sopraffatti da questa freschezza che insieme ti lascia la bocca asciutta, pulita. Il Monfiorato 2013 ha profumi più profondi, quasi di uva spina spinta dall’alcol. E qui si avverte quella morbidezza (anche se un Grignolino non potrà mai essere morbido ed equilibrato) che poi diventa il testabalorda di veronelliana memoria, conteso fra acidità e tannicità, qui ben presente.
Quattro espressioni diverse di Grignolino, tutte coerenti con l’aspettativa, ma da zone differenti. E questo è il bello.
dealessi-monfiorato.jpgAndiamo ora al capitolo Barbera, che in Monferrato è la padrona delle posizioni migliori. Tenuta Santa Caterina produce la Barbera d’Asti superiore “Setecàpita” 2016 a confronto sempre con il 2010. La prima ha un colore rubino decisamente concentrato e al naso offre tutta la profondità fruttata della Barbera. Una Barbera, mi permetto di dire, tipica di Grazzano Badoglio, che rappresenta un’enclave unica in tutto il Piemonte, dove il frutto è generoso; in bocca scende elegante e rotonda e solo alla fine esprime la sua connaturata acidità (con gli agnolotti, subito!). Il 2010, dai riflessi già aranciati, è qualcosa da ascoltare: senti la rosa madida e un effluvio di speziature che portano nel sottobosco. Ma poi il bouquet fa emergere il cacao e una nota balsamica di eucalipto. E qui ne apprezzi l’equilibrio, immaginando una carne succulenta.
barbera-setecapita.jpgAnche la Barbera di De Alessi è un 2016, con la denominazione Barbera del Monferrato superiore “Mepari” (mio padre), che è sempre stato il vino di punta di Roberto. Stesso rubino impenetrabile ma brillante, al naso una frutta fresca e invitante che ne traccia la sua anima vinosa. L’acidità rimane nel sottofondo a garantire la sua anima.
dealessi-mepari.jpgA questo punto introduciamo la Barbera del Monferrato superiore “Monumento” 2017 della cantina Hic et Nunc di Vignale Monferrato, che lo scorso anno premiammo a sorpresa per il loro Cortese. Ora, qui senti intensamente la rosa, con note quasi di marmellata di more. È una Barbera piacevole, placida, che si esprime in maniera differente ed è più marcata l’acidità tipica della Barbera.
hic-nunc-monumento.jpgProseguiamo con un vino che di fatto ha ispirato il titolo di questo articolo, perché Guido Carlo Alleva, rara avis fra i suoi colleghi di questa parte di Monferrato, ha creduto nel Freisa. E noi abbiamo assaggiato il suo "Sorì di Giul" 2015 e 2010, chiedendoci alla fine perché mai tanti altri produttori non hanno più scommesso su questo vitigno davvero camaleontico e glorioso. Ascoltiamolo.
Il Freisa d’Asti 2015 inizia potente al naso e mostra subito la piacevolezza della confettura di mora e di lamponi. In bocca ha tutto: freschezza, equilibrio, eleganza, tannini bel levigati e una spalla ben sostenuta. Il 2010 non si discosta di molto al naso, se non una speziatura ben presente e le note di erbe officinali. E questo davvero è un capolavoro, che attesta la grandezza del vitigno, capace di una lenta maturazione e di mostrarsi integro dopo 10 anni con una complessità da grande vino internazionale.
sori-di-giul.jpgE a proposito di internazionale, ecco un vino di Roberto De Alessi che porta in Monferrato il taglio bordolese classico (merlot, cabernet sauvignon, mourvedre e petit verdot). È il Monferrato Rosso “Dalera” 2015 dal colore porpora pieno e vivo e note erbacee pronunciate. Suadente al naso, si presenta fine, e in bocca mantiene alto il livello di complessità con un finale tannico (ancora verde) e caldo.
dealessi-dalera.jpgEntrambe le nostre cantine poi escono con vini bianchi. Tenuta Santa Caterina, ne fa due, ma qui ci ha proposto lo Chardonnay “Silente”, già descritto mirabilmente da Marco Gatti sulla pagina facebook “I vini del Golosario” mentre Roberto De Alessi ha scommesso su un viognier che a me è piaciuto molto.
Via dunque con il Monferrato Bianco “Silente” delle Marne 2015 di Tenuta Santa Caterina che ha un colore giallo oro molto concentrato, frutto dell’elevazione in barrique. E qui senti subito la crosta di pane e note di frutti esotici. E' caldo, sapido, minerale complesso e va sicuramente sui crostacei, per un bianco “importante” che ancora una volta dice di quali vette è capace il Monferrato.
tenuta-santa-caterina-silente.jpgIl Viognier di De Alessi si chiama è invece Monferrato Bianco “Sperilium” 2017: ha un colore giallo paglierino brillante; al naso l'intensità è piena, con note verdi che diventano franche e persistenti. Ha un ché di citrino e di balsamico avvolgente e la polpa che percepisci è quella di mango. In bocca ha un ingresso morbido che poi svela la sua freschezza e giù in fondo la sua sapidità esemplare l'evoluzione delle note fruttate fa sentire ciliegie fresche, forse amarene in un cuore centrale che sta fra la freschezza e la sapidità.
dealessi-sperilium.jpgBene, a conclusione di questa degustazione vien da dire che il territorio monferrino quello contiguo al cosiddetto Monferrato Casalese può contare su una versatilità di vitigni che tutti riescono a dare il massimo. Non sono ancora convinto dell’espressione del nebbiolo, che sarà sempre seconda ad altre terre, mentre trovo che il Freisa sia davvero una carta notevole da giocare. Purtroppo manca un dialogo costante fra i produttori e i passi avanti li hanno fatti solo la Barbera e il Grignolino. Ma ci sarebbe da credere anche in un vino bianco del Monferrato, e la carta vincente porta un nome ben preciso: baratuciat. Sarebbe qualcosa di identitario almeno dal punto di vista piemontese. Ma quanti ci stanno scommettendo? Sono almeno cinque i pionieri che un giorno potranno scrivere pagine analoghe a quelle del timorasso, che tutto sommato trovo dubbio piantare nel Monferrato, così come inutile è trovare viti di arneis. Piuttosto perché non credere nella Malvasia di Casorzo, che è un altro vino di straordinaria fragranza, e ovviamente sul Ruché. Le sfide sono aperte, torneremo presto a parlare dei casi più eclatanti e innovativi in Monferrato, per mantenere viva la discussione, dove se mi fate la domanda, preferiresti una slarina o un cabernet franc? Oggi risponderei un Cabernet!

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